Voluntary disclosure, all’estero è “un successo”

“UN SUCCESSO” – “In base a quello che ho visto, provvedimenti come quello della voluntary disclosure all’estero sono stati un successo”. Questa l’impressione dell’avvocato Stefano Massarotto (nella foto), dello studio tributario associato Facchini Rossi & Soci, specializzato in servizi di consulenza tributaria. “Così almeno riportano gli intermediari esteri, che hanno clientela di vari Stati”. Di certo è un fatto che dal 2009 in poi, con la crisi del debito sovrano, gli Stati occidentali hanno scelto di aggredire i paradisi fiscali, anche per via dei propri problemi di cassa. “Sulla voluntary disclosure”, aggiunge Massarotto, “c’è un documento dell’Ocse datato 2010: dunque, già la stessa Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico spingeva i vari Stati a dire basta ai condoni – o agli scudi, come vogliamo chiamarli – e a riconoscere che la trasparenza è l’unica via”.

OBIETTIVO TRASPARENZA – E questa trasparenza si ottiene consentendo ai contribuenti dei diversi Stati di rientrare nella regolarità pagando quanto devono – quindi non il forfait previsto dallo scudo fiscale – con un impianto complessivo che però incoraggi le adesioni (qui i dettagli della voluntary disclosure italiana), anche considerato – come sottolinea più di un esperto – che la direzione è quella dello scambio di informazioni senza più ombre tra i vari paesi e che è difficile che in futuro si apra un’altra finestra per la riemersione dei capitali o per un loro rientro dall’estero senza conseguenze, anche penali. Ecco allora che, nei paesi in cui la voluntary disclosure è già realtà, il risultato in termini di adesioni è “un successo”, secondo le parole di Massarotto. “Gli intermediari esteri – per lo meno i più importanti a livello di clientela italiana – aspettavano solo la legge. La stessa Svizzera, che ha adottato la strategia del denaro regolarizzato e trasparente, attendeva soltanto la disposizione normativa per poter lavorare”, conclude Massarotto.

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