Dunque, dottor Foti, non avere un azionista con la maggioranza assoluta per Fineco è un qualcosa in più e non in meno….
Credo di sì anche se faccio subito una premessa: ci sono molte aziende con un azionista di controllo che sono sanissime e hanno un business sostenibile e profittevole. In alcuni casi, però, può accadere che la società controllante sia portatrice di interessi che contrastano con lo sviluppo della società controllata, per esempio sia troppo interessata all’incasso dei dividendi o si concentri troppo su logiche di breve termine. Per una public company ciò non può avvenire: il nostro padrone è il mercato e per questo abbiamo il dovere di essere attenti alle necessità dei nostri stakeholder, cioè di tutti quei soggetti che sono portatori di interessi economici rilevanti verso di noi, dagli azionisti ai dipendenti, dai clienti ai consulenti finanziari.
Anche i consulenti finanziari, dunque, devono apprezzare questa vostra caratteristica?
Certamente sì. Il non avere un azionista di controllo li può mettere nella condizione di soddisfare con più libertà le esigenze dei clienti, senza che altri interessi interferiscano nelle loro scelte di costruzione dei portafogli.
Una public company, però, può essere anche oggetto di una scalata, soprattutto nel caso di una banca del calibro di Fineco….
E’ vero, faccio però notare alcuni aspetti importanti. A ben gurdare, Fineco era scalabile anche nei mesi passati, quando UniCredit aveva una partecipazione più alta di oggi ma comunque minoritaria, attorno al 35% Inoltre, non va dimenticata un’altra cosa: quando un’azienda o un grande investitore lanciano una scalata, lo fanno di solito per due motivi. Il primo è perché vedono un’azienda in crisi o in fase di ristrutturazione e pensano di comprarla a prezzi convenienti. Questo, però, non mi sembra proprio il caso di Fineco. L’altra ragione che porta uno scalatore a muoversi è invece la presenza sul mercato di una società sana come Fineco, che fa utili e cresce. E allora pongo un interrogativo: perché preoccuparsi di un eventuale takeover? Chiunque dovesse mai attuarlo, certamente lo farebbe per valorizzare l’azienda che compra. Faccio una metafora: se uno acquista una casa a cui tiene tanto, non lo fa certo per mandarla in rovina ma per valorizzarla.
Il settore delle banche-reti è stato negli ultimi anni molto redditizio. Sarà così anche in futuro?
E’ innegabile che ci sia una pressione sui margini di profitto. Ma, oltre a fare previsioni su tutto il settore, occorre valutare caso per caso le singole realtà aziendali, vedendo come reagiranno alla nuova congiuntura. Se una banca-rete non prende atto della realtà, allora è bene preoccuparsi. Se invece punta con lungimiranza sull’efficienza tecnologica che consente di ridurre i costi operativi e di aumentare la produttività dei consulenti finanziari, allora una banca-rete continuerà a essere profittevole anche in un contesto di mercato diverso.
Voi come siete impegnati su questo fronte?
In autunno ci saranno due novità significative per la nostra rete, che abbiamo già parzialmente annunciato con la presentazione della trimestrale. Partirà una nuova piattaforma tecnologica che consentirà proprio ai financial advisor di essere più produttivi, concentrandosi sulla relazione con la clientela e sull’ascolto delle sue necessità. Permetterà di snellire molte fasi operative del lavoro dei consulenti, mettendo a loro disposizione tutta una serie di dati che agevolano l’attività di costruzione dei portafogli. L’altra novità è una piattaforma di co-working che permetterà ai professionisti della rete di lavorare di più in squadra e condividere volontariamente la gestione di alcuni clienti.