Foti (Fineco): “In autunno grandi novità per i nostri consulenti”

Alessandro Foti, amministratore delegato e direttore generale di FinecoBank, ricopre l’attuale carica da quasi vent’anni. E’ salito in sella nel lontano 2000, non molto tempo dopo la nascita della banca, quando non esistevano ancora gli smartphone, quando le Torri Gemelle di New York erano ancora in piedi e gli italiani navigavano su internet molto più lentamente di oggi, senza banda larga e con il modem 56k. Da allora sono cambiate tante cose, anche gli azionisti di maggioranza di Fineco: prima  Bipop Carire, poi Capitalia e infine UniCredit. Eppure, Fineco è rimasta sempre Fineco, con Foti alla guida, con il suo marchio, la sua autonomia, la sua rete di consulenti finanziari costruita a poco a poco, che si è aggiunta alla originaria piattaforma di  banking e  trading online. Nei mesi scorsi, però, nella storia di Fineco è cambiato qualcosa: la banca è diventata una public company perché l’azionista di maggioranza UniCredit ha fatto un notevole passo indietro, riducendo dal 35 al 18% la sua partecipazione. Per Foti, tuttavia, l’essere diventati una public company non è certo un fatto negativo. Anzi, è un elemento che consente alla banca di creare maggior valore per i suoi stakeholder: gli azionisti, i dipendenti, i clienti e, non da ultimi, i consulenti finanziari. Foti spiega il perché  di tali convinzioni in questa intervista a Bluerating.com, dove illustra anche le novità in arrivo per i financial advisor della banca, cioè due nuove piattaforme tecnologiche che consentono ai professionisti della rete di lavorare in squadra e  di aumentare la propria produttività.

 

Dunque, dottor Foti, non avere un azionista con la maggioranza assoluta per Fineco è un qualcosa in più e non in meno….

Credo di sì anche se faccio subito una premessa: ci sono molte aziende con un azionista di controllo che sono sanissime e hanno un business sostenibile e profittevole. In alcuni casi, però, può accadere che la società controllante sia portatrice di interessi che  contrastano con lo sviluppo della società controllata, per esempio sia troppo interessata all’incasso dei dividendi o si concentri troppo su logiche di breve termine. Per una public company ciò non può avvenire: il nostro padrone è il mercato e per questo abbiamo il dovere di essere attenti alle necessità dei nostri stakeholder, cioè di tutti quei soggetti che sono portatori di interessi economici rilevanti verso di noi, dagli azionisti ai dipendenti, dai clienti ai consulenti finanziari.

Anche i consulenti finanziari, dunque, devono apprezzare questa vostra caratteristica?

Certamente sì. Il non avere un azionista di controllo li può mettere nella condizione di soddisfare con più  libertà le esigenze dei clienti, senza che altri interessi interferiscano nelle loro scelte di costruzione dei portafogli.

Una public company, però, può essere anche oggetto di una scalata, soprattutto nel caso di una banca del calibro di Fineco….

E’ vero, faccio però notare alcuni aspetti importanti. A ben gurdare, Fineco era scalabile anche nei mesi passati, quando UniCredit aveva una partecipazione più alta di oggi ma comunque minoritaria, attorno al 35% Inoltre, non va dimenticata un’altra cosa: quando un’azienda o un grande investitore lanciano una scalata, lo fanno di solito per due motivi. Il primo è perché vedono un’azienda in crisi o in fase di ristrutturazione e pensano di comprarla a prezzi convenienti. Questo, però, non mi sembra proprio il caso di Fineco. L’altra ragione che porta uno scalatore a muoversi è invece la presenza sul mercato di una società sana come Fineco, che fa utili e cresce. E allora pongo un interrogativo: perché preoccuparsi di un eventuale takeover? Chiunque dovesse mai attuarlo, certamente lo farebbe per valorizzare l’azienda che compra. Faccio una metafora: se uno acquista una casa a cui tiene tanto, non lo fa certo per mandarla in rovina ma per valorizzarla.

Il settore delle banche-reti è stato negli ultimi anni molto redditizio. Sarà così anche in futuro?

E’ innegabile che ci sia una pressione sui margini di profitto. Ma, oltre a fare previsioni su tutto il settore,  occorre valutare caso per caso le singole realtà aziendali, vedendo come reagiranno alla nuova congiuntura. Se una banca-rete non prende atto della realtà, allora è bene preoccuparsi. Se invece punta con lungimiranza sull’efficienza tecnologica che consente di ridurre i costi operativi e di aumentare la produttività dei consulenti finanziari, allora una banca-rete continuerà a essere profittevole anche in un contesto di mercato diverso.

Voi come siete impegnati su questo fronte?

In autunno ci saranno due novità significative per la nostra rete, che abbiamo già parzialmente annunciato con la presentazione della trimestrale. Partirà una nuova piattaforma tecnologica che consentirà proprio ai financial advisor di essere più produttivi, concentrandosi sulla relazione con la clientela e sull’ascolto delle sue necessità. Permetterà di snellire molte fasi operative del lavoro dei consulenti, mettendo a loro disposizione tutta una serie di dati che agevolano l’attività di costruzione dei portafogli. L’altra novità è una piattaforma di co-working  che permetterà ai professionisti della rete di lavorare di più in squadra e condividere volontariamente la gestione di alcuni clienti.

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