Fondi sostenibili: i risultati della prima ricerca quantitativa sull’esposizione settoriale

Banor SIM prosegue la collaborazione con la School of Management del Politecnico di Milano finalizzata ad analizzare il settore dei fondi sostenibili.

Per la quinta ricerca, realizzata nel corso del 2023, sono state analizzate le scelte di asset allocation, rispetto al benchmark scelto dal gestore, di un campione di fondi d’investimento comuni azionari classificati secondo la regolamentazione SFDR, adottando per la prima volta un approccio quantitativo. L’obiettivo della ricerca è individuare le potenziali differenze nelle scelte di allocazione dei fondi sostenibili (classificati come articolo 8 e articolo 9) rispetto ai fondi convenzionali (classificati come articolo 6), per identificare potenziali punti di forza e di debolezza nel complesso sistema di etichettatura dei fondi ESG, offendo così un contributo alla consultazione della Commissione Europea lanciata a settembre 2023 sul futuro della SFDR (Sustainable Finance Disclosure Regulation).

L’assunto di partenza della ricerca è la tendenza dei fondi classificati come “sostenibili”, rilevata da alcuni osservatori, a concentrare le proprie partecipazioni in specifici settori considerati “meno rischiosi” da un punto di vista ambientale, in particolare quello tecnologico e quello sanitario. Un trend rilevante da analizzare perché, se applicato su base sistematica, potrebbe generare serie difficoltà nel finanziamento della transizione sostenibile dei settori più esposti al rischio ambientale.

Secondo Giancarlo Giudici, professore ordinario di Corporate Finance alla School of Management del Politecnico di Milano: «C’è un dibattito molto vivace sul tema della classificazione dei fondi “sostenibili”. Come è evidente dai risultati della ricerca confermati dai più recenti trend segnalati dagli analisti, le decisioni dei policymaker possono avere un impatto rilevante sulle scelte di asset management dei gestori. La futura revisione della normativa dovrebbe favorire la trasparenza sui modelli più che tentare di identificare i “buoni” e i “cattivi”».

«Gli approcci dei gestori sono molto diversi: c’è chi, come Banor, si basa su uno stock picking – bottom up, chi prende posizioni settoriali relative al benchmark e chi segue pedissequamente un indice. La normativa SFDR oggi non distingue tra i vari approcci; ci auspichiamo che le future evoluzioni tengano conto dei diversi stili di gestione senza creare delle categorie troppo ampie che rendono difficile la comparazione al loro interno», ha commentato Angelo Meda, Responsabile Azionario e della Ricerca ESG di Banor SIM.

Metodologia

L’analisi è stata effettuata su un campione di 1.795 fondi comuni equity alla data del 17 febbraio 20231. Si tratta di fondi domiciliati in Europa che dichiarano una classificazione SFDR e per i quali i dati sono disponibili su Refinitiv Eikon. Con l’obiettivo di misurare gli scostamenti dal benchmark e valutare così anche le strategie dei gestori, il campione è stato selezionato scegliendo fondi che hanno come benchmark indici MSCI, coprendone circa il 50%.

Durante l’analisi si è osservato che un ampio numero di fondi, sebbene con mandato d’investimento “sostenibile”, ffa ricorso a benchmark classici (ad. es. MSCI ACWI): i si è quindi deciso di osservare le deviazioni anche rispetto a benchmark ESG, e a tale proposito sono stati identificati i due macro-indici MSCI ESG Universal e MSCI ESG Leaders.

Risultati

Dall’analisi emerge con chiarezza che, alla luce del recente passaggio di categoria di molti fondi dall’articolo 9 all’articolo 8, i fondi classificati come articolo 8 (i cosiddetti light green) non presentano differenze significative nell’allocazione settoriale rispetto ai fondi art. 6 (ovvero i fondi che non integrano la sostenibilità nel loro processo di investimento), fatta eccezione per il settore energy. Differenze significative si possono invece riscontrare nei fondi classificati come articolo 9 (fondi che hanno come obiettivo primario l’investimento sostenibile), i quali sembrano seguire scelte di asset allocation piuttosto indipendenti dal benchmark ed esibiscono un indice di concentrazione settoriale statisticamente maggiore di quelli articolo 6. Se guardiamo allo scostamento rispetto ai benchmark tradizionali, si nota che i fondi con classificazione articolo 6 e articolo 8 risultano notevolmente sovrappesati nel settore Information Technology (rispettivamente +3,73% e +4,76%), mentre quelli articolo 9 sono più allineati al benchmark. Inoltre, tutti i fondi sono in media sottopesati rispetto ai settori Communication-services e Real Estate, suggerendo che tali comparti risultano meno attraenti in questo momento storico per gli asset manager.

In conclusione, le categorie articolo 8 e articolo 6 – a valle anche di un test econometrico – risultano piuttosto sovrapponibili, sia in termini di concentrazione settoriale rispetto al benchmark che di scelte settoriali in termini assoluti. D’altro canto, i fondi articolo 9 sembrano avvicinarsi a logiche di asset allocation tipiche dei fondi tematici.

Tale risultato suggerisce riflessioni per il futuro per quanto riguarda lo sviluppo di logiche di integrazione ESG a livello di portafoglio e sull’utilizzo di benchmark ESG che catturino in maniera sostanziale le specificità degli investimenti sostenibili.

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