NN Investment Partners: trimestrali, ecco perché gli Usa battono l’Eurozona

ATTESI RISULTATI MIGLIORI – Le prossime settimane vedranno come protagonista la stagione degli utili del terzo trimestre. Come al solito, l’asticella è stata posta in basso e di conseguenza dovremmo aspettarci risultati leggermente migliori di quanto atteso, spiega Valentijn van Nieuwenhuijzen, chief strategist e head of multi asset di NN Investment Partners. Per il momento, le trimestrali sembrano essere incoraggianti per quanto riguarda gli Stati Uniti, dove specialmente il settore bancario ha pubblicato risultati solidi. Pensiamo che, per la prima volta dal secondo trimestre del 2015, la crescita degli utili statunitensi potrebbe tornare a essere positiva. Questo è più che probabile per il mercato al netto del settore energetico. Questo ambito, infatti, ha sofferto ancora di un confronto negativo con lo stesso periodo dello scorso anno per quanto riguarda il prezzo del petrolio, un effetto, quest’ultimo, che ci si aspetta diventi positivo nel quarto trimestre. È interessante fare una comparazione fra gli Stati Uniti e l’Eurozona per quanto riguarda il trend dei profitti. Negli ultimi cinque anni, entrambe le aree hanno visto una crescita degli utili bassa o addirittura negativa. Con l’eccezione del 2015, però, l’Eurozona ha fatto molto peggio degli USA. Nel periodo 2010-2015, gli utili dell’Eurozona sono diminuiti del 3% (in euro), mentre negli Stati Uniti sono aumentati del 28%. Questo spiega in larga parte anche la sottoperformance del mercato azionario dell’Eurozona. Nello stesso periodo, l’equity europeo è cresciuto del 25%, quello americano del 63%. In entrambi i casi le valutazioni sono aumentate considerevolmente, guidate dalla liquidità. Questa discrepanza nella crescita degli utili può essere dovuta dalla minore crescita nominale dell’Eurozona rispetto agli USA, ma questa è solo una parte della spiegazione.

MALE LE COMMODITY – Un altro fattore che spiega questa differenza è la composizione dei settori nei due mercati azionari. Le aree che hanno visto un crollo dei profitti sono quelle legate alle commodity. Questo settore pesa per il 10% nell’S&P500 e per il 14% nell’Euro Stoxx. La tecnologia, invece, ha visto crescere gli utili del 25% negli Stati Uniti e del 15% nell’Eurozona, aggiunge il gestore. L’IT è di gran lunga più importante nel mercato americano, dove pesa per il 21% della capitalizzazione di mercato contro solo il 7% dell’Eurozona. La composizione dei settori è quindi un ulteriore causa alla base della differenza di crescita degli utili. Anche in questo caso, però, la spiegazione non è sufficiente: se infatti eliminiamo gli utili derivati dalla tecnologia e quelli derivati dalle commodity dal dato globale, la differenza a favore degli Stati Uniti permane. Di conseguenza abbiamo comparato la redditività settore per settore, mettendo a confronto gli utili per azione fra le due aree a fine 2015. Da questa analisi si evince che nell’Eurozona, gli utili per azione sono più alti nelle telecomunicazioni, nelle utilities e nel settore energetico; tutti gli altri settori sono più profittevoli negli Stati Uniti. Se guardiamo ai margini operativi fra le due regioni, giungiamo a conclusioni simili. Il margine operativo netto medio dell’Eurozona fra il 2010 e il 2015 era del 9%, contro un 13,3% degli USA: con l’eccezione dell’energia, dei beni primari e della sanità, le società statunitensi sono più profittevoli delle proprie controparti dell’Eurozona. Un altro punto interessante è la sensibilità degli utili rispetto ai cambiamenti nella crescita del fatturato. In questo caso la leva operativa del mercato dell’Eurozona è più elevata rispetto a quella degli USA. Questo implica che se la crescita economica nominale dovesse riprendersi, la crescita degli utili nell’Eurozona sarebbe maggiore rispetto a quella degli USA. Tuttavia, a parte il rallentamento della profittabilità rispetto agli Stati Uniti (ma anche rispetto al Giappone), le ragioni principale dietro al nostro approccio cauto all’azionario europeo sono l’incertezza politica dell’area, che si protrarrà almeno per i prossimi 12 mesi, e le potenziali conseguenze negative sugli utili dell’Eurozona derivate dal crollo del 20% della sterlina rispetto all’euro.

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