La lunga rincorsa dei BRIC

A cura di Stefano Simionato, Responsabile Ufficio Studi ALFA Scf
Apparso per la prima volta nel 2001 in una relazione della banca d’investimento Goldman Sachs, l’acronimo BRIC è diventato negli ultimi decenni uno dei termini più utilizzati a livello globale quando si parla di economia internazionale e di geo-politica. Si tratta come noto di una sigla utilizzata per riferirsi sinteticamente a Brasile, Russia, India e Cina: quattro paesi culturalmente e geograficamente lontani ma destinati, almeno secondo il citato report dell’economista inglese Jim O’Neill, a «dominare l’economia mondiale nel XXI secolo».
Quasi due decenni dopo la pubblicazione dell’analisi di Goldman Sachs il mondo è sicuramente cambiato molto; è quindi interessante andare a vedere oggi qual è stato lo sviluppo effettivo dei quattro maggiori paesi emergenti e come è cambiato il loro ruolo negli ultimi anni.
Come mostra la tabella sulla sinistra, la crescita dei BRIC dal 2000 a oggi è stata effettivamente superiore a quella dei paesi occidentali, in linea con le attese. Le due grandi economie asiatiche hanno tenuto anzi ritmi difficili da immaginare per l’Europa o per gli Stati Uniti. Il peso relativo dei BRIC sul PIL mondiale è dunque sicuramente cresciuto in modo significativo: nel complesso da meno dell’8% a oltre il 20%, a tutto svantaggio dei paesi occidentali.
E’ giusto precisare che una buona parte di questo aumento è in realtà da attribuire alla sola Cina; ciò non toglie però che l’importanza dei paesi emergenti oggi sia in generale molto maggiore rispetto a inizio secolo. In quest’ottica di lungo termine, anche i mercati finanziari hanno premiato i BRIC: le loro borse hanno offerto performance migliori rispetto alle piazze occidentali e i loro rating sovrani sono oggi decisamente più elevati. La crescita degli emergenti peraltro non è stata solo una questione contabile: anche il loro indice di sviluppo umano è migliorato in maniera tangibile, a segnalare un miglioramento concreto della qualità della vita dei cittadini.
Di fianco a molti numeri positivi, però, i BRIC hanno almeno in parte deluso le attese ultra-ottimistiche di inizio secolo. Nonostante sia più elevato rispetto al 2000, il reddito pro-capite di questi paesi è ancora molto distante rispetto a quello europeo e addirittura lontanissimo dai livelli americani. I loro settori pubblici rimangono molto inefficienti se paragonati a quelli occidentali e, nel caso del Brasile, addirittura più inefficiente oggi che in passato.
Sebbene cresciute, le economie risultano poi ancora troppo poco complesse (solo la Cina ha mostrato un vero miglioramento da questo punto di vista). Ciò significa che è grande la dipendenza da singoli settori (ad esempio il settore energetico in Russia) e che i prodotti esportati tendono a essere poco sofisticati. Molti studi hanno evidenziato come un basso indice di complessità sia un freno allo sviluppo nel lungo periodo.

L’indice di sviluppo umano, infine, per quanto migliorato, è ancora lontano dai livelli occidentali. Come è inevitabile che sia in paesi in cui una quota non trascurabile della popolazione  soprattutto in India) soffre ancora la fame.
Insomma, il gap tra i paesi occidentali e gli emergenti negli ultimi decenni si è indubbiamente ridotto molto; rimane però ancora oggi elevato. Se escludiamo la Cina, che si sta effettivamente avvicinando ai grandi paesi occidentali ed è destinata a diventare la maggiore economia nel prossimo futuro, è ora esagerato dire che gli altri paesi «domineranno l’economia mondiale nel XXI secolo». Ad oggi non sembrano esserci le basi perché questi paesi abbiano un ruolo leader paragonabile a quello di Stati Uniti, Giappone o della stessa «sofferente» Europa. Cresceranno ancora, e per ragioni anche demografiche lo faranno probabilmente più dei paesi occidentali. Nel breve così come nel medio termine, però, questi ultimi continueranno ad avere ancora un ruolo centrale.
Note:
1 L’indice di Sviluppo Umano è un indicatore sintetico della qualità della vita misurato dall’ONU.
2 L’Economic Complexity Index, sviluppato ad Harvard, misura le caratteristiche di produzione dei sistemi economici.
3 Il Global Hunger Index è uno strumento statistico utilizzato per misurare quanto è significativo in un paese il problema della fame.
4 La Banca Mondiale attribuisce annualmente un valore compreso tra -2,5 e 2,5 all’efficienza del settore governativo di ciascuna nazione.

Vuoi ricevere le notizie di Bluerating direttamente nella tua Inbox? Iscriviti alla nostra newsletter!