Amiral Gestion: ecco i perchè delle nostre performance

Julien Lepage di Amiral Gestion (società di gestione indipendente con una forte cultura aziendale incentrata sulla collaborazione che da 17 anni può contare su un team compatto e stabile per investire nelle società quotate, principalmente mid cap ed europee, con un approccio di lungo periodo di tipo fondamentale e value) spiega di seguito le ragioni del proprio modus operandi in un anno non certo da incorniciare per la società.

Nel 2019 la vostra performance è deludente. Quali sono le ragioni?

Ci troviamo a fronteggiare contemporaneamente 3 elementi negativi: una posizione liquida più elevata che in passato a fronte di indici che si sono fortemente apprezzati; la nostra posizione storica sul segmento carry delle small cap che sottoperforma da 18 mesi e, chiaramente, il nostro stile di gestione “value” che oggi non raccoglie i favori del mercato. È uno scenario molto impegnativo, che affrontiamo con una grande concentrazione e lavorando sodo.

È corretto dire che siete poco esposti ai titoli “growth”?

Si parla molto di titoli growth che, tuttavia, sono riconoscibili e definibili come tali solo a performance ottenuta cioè a posteriori. Kodak era un titolo growth prima di fallire, come anche Nokia. Bic era un titolo growth prima che la gente smettesse di scrivere, di fumare o di radersi. Potrebbe anche accadere, un giorno, che i cinesi smettano di acquistare le borse Vuitton. L’unico dato certo, oggi, è che molti investitori si spingono a prevedere i risultati di lunghissimo periodo di società a forte visibilità presunta con un rendimento molto basso. Partendo da zero, il potenziale è infinito per definizione. Queste società si apprezzano negli indici e i fondi indicizzati acquistano. Lo scarto fra i valori cosiddetti “growth” e quelli “value” non era così elevato dai tempi della bolla Internet del 1999. LVMH, che è un ottimo esempio di società growth, ha evidenziato due cicli contrapposti durante la crisi asiatica del 1998 e addirittura 3 cicli distinti nei 12 mesi che hanno preceduto la bolla del 2000! In pochi lo ricordano e chi non l’ha dimenticato crede che stavolta andrà diversamente.

È probabilmente uno degli effetti dei tassi negativi. Cosa se ne ricava?

Molte domande senza una risposta… È un fenomeno storico unico, contro natura e difficile da cogliere soprattutto in un mondo nel quale gli Stati sono tecnicamente falliti. È una sorta di prelievo sui risparmiatori, in apparenza meno visibile o dolorosa rispetto a un aumento delle tasse. I tassi negativi producono molti effetti positivi sugli investimenti, per esempio sul finanziamento delle grandi infrastrutture per le energie rinnovabili. In contropartita, aumentano i rischi di mercato come la sopravvalutazione di alcune attività quali gli investimenti immobiliari o le obbligazioni AAA. La questione si intreccia anche con altri temi: l’inflazione, la crescita, le disuguaglianze ecc. Non è chiaro quando e come questo ciclo muterà, ma attualmente i mercati trascurano questo fattore di rischio.

I tassi zero non sono l’unico elemento di rottura nel mondo degli investimenti, ci sono anche i millennial?

Sì, tutto cambia e molto velocemente. È molto stimolante perché crea nuovi rischi ma anche nuove opportunità. Tre anni fa dovevamo interrogarci sul ruolo e sul futuro delle società tradizionali di fronte alla minaccia della rete, in settori quali la pubblicità, le telecomunicazioni o i media con Google o Facebook, la distribuzione con il lupo Amazon, il turismo con Airbnb ecc. Bisognava evitare i settori “uberizzabili”. In aggiunta a questa analisi che rimane centrale, oggi dobbiamo anche riconsiderare tutte le società con l’occhio dei sempre più numerosi “millennial”, che possono smettere di colpo e in massa di acquistare voli, automobili, carne o abbigliamento. Non varcano più la soglia delle agenzie bancarie, non guardano più la tv ecc. Sono dinamiche legate alla finanza responsabile.

In effetti, i millennial ci avvicinano al tema degli ISR. Qual è la vostra posizione al riguardo e pensate di lanciare dei fondi ESG?

Siamo molto avanti da sempre sulla G di Governance, abbastanza avanti sulla S di Società e un po’ indietro sulla E di Ambiente. Il segmento delle small e mid cap complica ulteriormente lo scenario per le poche informazioni disponibili. Al greenwashing che non amiamo preferiamo un approccio integrato. Ai fondi “ESG” preferiamo quindi integrare i criteri nel modello di valutazione da noi sviluppato. Ci proponiamo di fare nostro il tema, integrandolo con grande onestà e buon senso senza strafare né limitarsi a metterci un “tappo”. È una scelta che richiede tempo e matura di pari passo con le scelte delle imprese. Su questi temi impegnativi e di grande complessità, amo citare Alan Greenspan: “È meglio avere abbastanza ragione che sbagliarsi del tutto”.

Vuoi ricevere le notizie di Bluerating direttamente nella tua Inbox? Iscriviti alla nostra newsletter!