Atlantia: il giorno della verità per Autostrade per l’Italia

E’ il giorno di Atlantia, che dopo il crollo del 15% della vigilia tenta un timido rimbalzo del 2% lambendo quota 11,6 euro per azione. Ai livelli attuali il titolo ha più che dimezzato la sua capitalizzazione di borsa a 9,4 miliardi (-54%), di fatto scontando la pressoché totale perdita di valore della controllata Autostrade per l’Italia (di cui la holding che la famiglia Benetton controlla con poco più del 30% è azionista all’88,06%, il resto del capitale essendo in mano ad una cordata capitanata da Allianz, col 6,94%, e ai cinesi di Silk Road, col 5%).

L’incertezza è massima perché in giornata dovrebbe riunirsi il Consiglio dei ministri e prendere una decisione definitiva (sempre che non si utilizzi la consueta formula “salvo intese” che genererebbe ulteriore confusione) circa la revoca, chiesta a gran voce dal Movimento 5 Stelle, che sembra voler potere agitare un trofeo per impostare la sua campagna elettorale su temi giustizialisti, o la modifica della concessione autostradale (soluzione che pare gradita al resto della maggioranza, a partire dal Partito Democratico). Non possono peraltro essere escluse soluzioni intermedie come la revoca delle concessioni solo di singoli tratti autostradali che tornerebbero all’Anas (proprietario della rete e già oggi gestore di un tratto della stessa).

Il problema di un eventuale investimento “speculativo” su Atlantia è duplice: da un lato la probabilità di revoca può essere al momento stimata in un 50%, dall’altra il valore di Atlantia è compreso in un range tra i 7 miliardi previsti dopo l’introduzione delle modifiche normative contenute nell’articolo 35 del DL “Milleproroghe” e i 9 miliardi stimati dagli analisti. Visto che ad Atlantia fanno capo, peraltro, anche altri asset come Telepass, Aeroporti di Roma e soprattutto Abertis, pagata 29,3 miliardi, l’attuale valorizzazione di borsa pare oggettivamente modesta.

Se è  tale è tuttavia per il rischio che una revoca in toto delle concessioni di Aspi faccia scattare la clausola “Change of Control”, presente in tutti i prestiti obbligazionari di Aspi e Atlantia e che consente a banche e investitori istituzionali sottoscrittori dei bond di chiederne il rimborso anticipato proprio nel caso in cui Aspi o Atlantia perdano il controllo delle concessioni (i cui flussi di cassa sono la vera garanzia della solvibilità del gruppo). Quanto è concreta questa ipotesi?

Impossibile dirlo con certezza, ma l’elenco dei creditori che sarebbero esposti al rischio default (per 9 miliardi nel caso di Aspi, di cui circa 7 miliardi rappresentati da bond e il resto da finanziamenti, per quasi 38 miliardi nel caso di Atlantia, di cui 23 rappresentati da prestiti e poco meno di 15 miliardi da bond) è piuttosto consistente e annovera nomi di tutto rispetto come Banco Bpm, Bnp Paribas, Credit Agricole, Cassa Depositi e Prestiti, Intesa Sanpaolo, Mediobanca e Unicredit (in tutto sarebbero oltre una ventina le banche italiane od europee coinvolte, compresa la stessa Bce che acquistò alcune emissioni di bond prima della perdita dello status di “investment grade”).

Per evitare tensioni al settore bancario in un momento già di per sé complicato per l’economia italiana ed europea si troverà il modo di salvare Autostrade per l’Italia, vuoi assumendo il debito pregresso da parte dello stato, vuoi mantenendo in tutto o in parte le concessioni? Lo scopriremo a breve e a breve capiremo se quelli di oggi sono prezzi “d’occasione” o l’ultima occasione per fuggire da Atlantia prima del collasso. Le scommesse sono aperte e per quel che vale gli analisti tecnici, che pure continuano a segnalare il trend fortemente negativo in cui si muove il titolo in questi giorni, indicano possibile un rimbalzo almeno sino alle resistenze in area 12,33 e poi eventualmente a 12,63 euro per azione. Sempre che da Palazzo Chigi non giunga una fumata nera.

A cura di Luca Spoldi, Cefa, 6 In Rete Consulting Ceo (www.6inrete.it)

 

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