Cina e tensioni geopolitiche mandano in tilt le borse mondiali

A cura di Vincenzo Longo, market strategist di IG
Non poteva esserci esordio peggiore sui mercati finanziari per questo 2016. Le borse di tutto il mondo hanno chiuso la prima seduta dell’anno con pesanti perdite dovute al riemergere dei timori sul rallentamento della Cina e alle tensioni geopolitiche. Le vendite sono partite nella notte sui mercati asiatici dopo la pubblicazione dell’indice PMI manifatturiero di dicembre. Il dato è sceso inaspettatamente a 48,2 punti da 48,6 di novembre e contro attese di 49 punti. La contrazione della manifattura nella seconda economia del mondo torna quindi a peggiorare dopo i segnali di stabilizzazione di novembre. Le misure espansive intraprese dal governo di Pechino e dalla Banca centrale cinese durante l’estate sembrano non bastare ad arginare un rallentamento troppo violento.
Sulle vendite ha inciso anche l’approssimarsi del termine al divieto alle vendite imposta a giugno e luglio dello scorso anno dalle autorità cinesi dopo la forte volatilità. Sempre oggi è entrata in vigore la nuova regolamentazione volta anch’essa a spegnere le accensioni di volatilità sui listini cinesi. Al suo esordio, la norma si è resa subito operativa. Gli indici azionari cinesi sono stati sospesi per 15 minuti dopo essere arrivati a perdere il 5%. Subito dopo il ritorno agli scambi le vendite si sono accentuate e gli indici di Shanghai e Shenzhen hanno sospeso anzitempo le contrattazioni dopo essere arrivate a perdere circa il 7%, come da regolamentazione.
Il sentiment del mercato ha risentito anche del riaccendersi delle tensioni geopolitiche tra Iran e Arabia Saudita a seguito dell’evoluzione degli eventi degli ultimi giorni. Oggi anche Sudan e Bahrein si sono uniti a Riad, rompendo i rapporti diplomatici con Teheran. L’impatto delle tensioni sono state ben visibili sui prezzi del greggio, tornato ai massimi da oltre 3 settimane, prima di ripiegare sui livelli medi di scambio degli ultimi giorni.
Anche le indicazioni arrivate dagli Usa non hanno rasserenato gli animi degli operatori. Sia l’indice PMI che l’ISM relativi al comparto manifatturiero sono scesi inaspettatamente a dicembre attestandosi, rispettivamente, a 51,2 punti (minimi da novembre 2012) e a 48,3 punti (minimi da giugno 2009). A questo punto non resta che attendere le indicazioni che arriveranno dalle trimestrali della prossima settimana (Alcoa in agenda lunedì 11 gennaio), utili per capire quanto abbiano impattato sui conti delle aziende statunitensi il dollaro forte e i consumi natalizi dell’ultimo trimestre dell’anno. A poco sono servite le letture positive degli indici PMI della zona euro, tra cui quella particolarmente brillante dell’Italia (ai massimi da marzo 2011).
La fase di risk off ha penalizzato gli asset rischiosi, equity in particolare, e ha favorito le asset class percepite più sicure, come oro, yen e Bund. Il tipico fenomeno di flight to quality ha spiegato tutti i suoi effetti. Male anche l’euro che ha perso terreno verso le principali valute mondiali, in particolare verso dollaro e yen. Complice di ciò sono stati anche i dati peggiori delle attese sull’inflazione preliminare di dicembre in Germania. Il cambio Eur/Usd è sceso sotto il supporto importante collocato a 1,08, aggiornando i minimi da oltre un mese, mentre il cambio Eur/Yen ha toccato 128,65, livelli che non vedeva da aprile 2015. Proprio lo yen è stata tra le migliori valute oggi, confermando quindi la sua natura di asset rifugio. I volumi sono risultati più alti della media di periodo e le incertezze potrebbero durare ancora qualche giorno prima che la situazione si stabilizzi.

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