Mercati, commodity in cima alle montagne russe

I listini occidentali continuano a fare piuttosto bene e l’S&P500 aggiorna i massimi storici trainato dal rialzo da sette sugli 11 comparti che lo compongono, in attesa della Fed, senza particolari patemi su un cambio di rotta (o di wording) all’orizzonte.

Stesso discorso per le materie prime, che contrariamente a quanto ci si potrebbe attendere in un contesto in cui le nuove istanze pandemiche sembrano mettere in predicato le previsioni di ampie ripartenze, tornano a farsi notare nel panorama macroeconomico dopo qualche settimana di latitanza.

Petrolio a parte, ancora saldo in area 72 dollari per barile, sono i metalli non ferrosi che danno vita ieri a una sessione particolarmente postiva, che vede il rame allungare il passo ben oltre quota 9.800 dollari per tonnellata e apparentemente intenzionato a ritentare la sorte con la resistenza psicologica posta a quota 10.000 dollari.

Bene anche il resto del comparto, sebbene con performances meno eclatanti, per quanto sia il nickel (prossimo ai 20.000 dollari per tonnellata) che lo stagno (su nuovi massimi record) sembrano confermare il ritorno dell’appetito speculativo, che si espande ora anche a metalli solitamente meno gettonati come il piombo, che complice il basso livello delle giacenze al London Metal Exchange (ai minimi dal luglio 2020) supera a tratti quota 2.400 dollari supportato anche da un backwardation importante sulle posizioni cash (ieri lo spread cash-3 mesi ha superato quota 40 dollari per tonnellata)

A confermare tuttavia l’andamento assai volatile dei corsi, questa mattina partenza in netto territorio negativo per l’LME (tra i peggiori il rame e il nickel), di cui al momento appare difficile trovare giustificazione (d’altra parte i listini asiatici hanno fatto male ieri come oggi, quindi non dovrebbero essere una discriminante).

A cura di Michael Palatiello, ad e strategist di Wing Partners Sim

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