Mercati, Usa: lavoro e scorte di petrolio sotto i riflettori

I dati Usa in uscita oggi sono particolarmente importanti: gli occupati ADP di settembre (attesa una crescita del 15% a 430mila unità) e le scorte di petrolio settimanali. Entrambi i dati sono cruciali perché costituiscono i pezzi del puzzle della politica monetaria. Come noto, la riduzione del tasso di disoccupazione è uno degli obiettivi della Fed: siamo al 5,2% circa, molto vicini al tasso naturale del 5%. Le scorte di petrolio segnalano invece la possibilità che la spinta del prezzo dell’energia vada a consolidare una insidiosa crescita generalizzata dei prezzi (più volte lo abbiamo ribadito su queste pagine), che finirebbe per riaccendere la spirale salari/prezzi.

E’ di ieri la notizia che l’OPEC (che controlla l’80% circa delle riserve mondiali di petrolio e il 35% di quelle del gas), non aumenterà l’offerta, mantenendo il prezzo elevato. Non rimane che l’IRAN, il cui petrolio è ancora in larga parte assente dai mercati. La decisione è pero politica, più che economica. Ma, lo dicevano i Romani: pecunia non olet.

Quello che vediamo è che sul fronte salari qualcosa si è già cominciato a muovere: l’aumento degli stipendi a bassa qualifica nell’ultimo anno (+6%) è stato superiore alla media dell’intero settore privato (+2,6). Inoltre, il tasso di partecipazione al mercato del lavoro è sceso costantemente negli ultimi 20 anni passando dal 67,3% del 2000 al 61,6%. Minore offerta di lavoro e domanda delle imprese crescente propendono per un aumento dei salari. Chiaro che le tendenze inflattive, al di la delle spinte congiunturali, sono di medio periodo. Ma si sa, i mercati finanziari tendono sempre ad anticipare i trend.

A cura di Antonio Tognoli Head of Research di Integrae Sim

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