Azioni europee e bond high yield, il giusto mix per il portafoglio

Archiviato l’annus horribilis dei mercati finanziari, si torna alle gestioni tradizionali, bilanciate tra azionario e obbligazionario e dove la decorrelazione tra asset class è di nuovo possibile. Ma come saranno i prossimi mesi? Ne parliamo con Philippe Vantrimpont, product specialist fixed income & quantitative strategies di Oddo BHF Asset Management.

Cosa ci ha insegnato il 2022?

Che il rischio ero non esiste.

Cioè?

Che le obbligazioni, per esempio, tra rischio tasso e rischio credito, possono essere molto rischiose. È stato un anno importante, che ha interrotto più di dieci anni di interventi delle banche centrali, una task force che è stata in grado di evitare la deflazione ma che aveva creato quella che si chiamava ‘una nuova normalità’. Ora si torna a prima di quella fase, a una gestione dei portafogli più classica.

Lo shock del 2022 continua a riecheggiare anche nel 2023?

Certo che sì. La nuova era che ci aspetta è lenta e richiede pazienza. Affinché avvenga un significativo riposizionamento, l’inflazione deve raggiungere il proprio picco, il ciclo di rialzi dei tassi deve giungere a conclusione, la curva dei rendimenti deve stabilizzarsi e i principali indicatori di mercato devono toccare i minimi. Non si possono escludere brutte sorprese riguardo inflazione e politica monetaria, ma è probabile che in questo nuovo anno riusciremo a concentrarci più sulle opportunità che sui rischi.

Qual è il vostro scenario di base?

Moderata recessione in Europa e rallentamento economico globale. Le azioni europee, in particolare quelle ancora estremamente sottovalutate, offrono un potenziale apprezzamento

La maggior parte degli osservatori considera il 2022 come un anno storico. Con la guerra in Ucraina, il drastico aumento dell’inflazione, la rapida conclusione dell’era del credito a basso costo e lo shock energetico, gli investitori non sapevano dove guardare. Le azioni hanno subito un forte ribasso, perdendo in media il 15%, ma, eccezion fatta per tecnologici particolarmente sopravvalutati, non è stato un completo disastro, se confrontato con altri crolli di borsa, anche del recente passato. Gli investitori obbligazionari, invece, hanno vissuto la tempesta perfetta con perdite superiori anche al 17%, come nel caso dei titoli di stato europei, colpendo in modo inaspettato i porti sicuri degli investitori.

Il peggio è ormai alle spalle?

Innanzitutto, i temi del 2022 continueranno anche quest’anno, seppure con un impatto minore. L’inflazione calerà più rapidamente negli Usa che in Europa. L’inflazione core (energia e alimentari esclusi) avrà un ruolo decisivo per il futuro. Solo quando anche questa scenderà, le banche centrali potranno mettere fine alla loro politica monetaria restrittiva. La sensibilità dei mercati alla politica monetaria è stata evidente a dicembre, considerata la reazione a ciò che è stato percepito come una comunicazione eccessivamente dura rispetto agli aumenti dei tassi già previsti. L’improvviso dietro-front della Cina sulla politica zero-Covid rappresenta un rischio per le catene di approvvigionamento, a causa dell’aumento nelle infezioni, ma potrebbe anche scatenare un’impennata nella crescita, e purtroppo anche dei costi, in un contesto di espansione contenuta durante l’anno. Tali incertezze permarranno ancora per qualche tempo, motivo per cui gli investitori saranno attendisti.

In termini di valutazioni, le obbligazioni sono più interessanti?

Sì. Da molti mesi a questa parte, i tassi d’interesse a breve termine sono superiori a quelli a lungo termine, cosa che viene generalmente vista come segnale di un’imminente recessione. La portata di quest’inversione si è recentemente corretta in modo lieve, ma gli investitori continuano a prevedere che un difficile contesto economico possa portare la Fed a un primo taglio dei tassi verso fine anno. Non pensiamo che questa ipotesi si materializzerà. Anche se continuiamo a consigliare un approccio cauto ai titoli di stato, le obbligazioni corporate offrono ancora buone opportunità di rendimento.

Ci spiega?

Malgrado la recente contrazione degli spread, i rendimenti sono ai massimi storici e sono quindi un cuscinetto in caso di futuri, seppur imprevisti, aumenti dei tassi d’interesse. Gli emittenti del segmento investment grade dispongono di sufficiente liquidità per affrontare fasi più complesse. Anche le azioni oggi sono valutate in modo più interessante, ma la correzione non è stata abbastanza grave da eliminare tutte le valutazioni eccessive.

Usa o Europa?

Negli Usa i premi per il rischio non abbondano, mentre l’Europa appare meglio preparata per una fase di ulteriori aumenti dei tassi d’interesse. A livello valutario, politiche monetarie divergenti su entrambe le sponde dell’Atlantico potrebbero mettere fine all’impennata del dollaro.

Siamo dell’opinione che convenga concentrarsi prima sulle obbligazioni, con la prospettiva di incrementare l’esposizione alle azioni a fine anno.

Concretamente come posizionarsi?

Sia le obbligazioni investment grade sia quelle high yield offrono, secondo noi, buone prospettive. Con un occhio a un profilo rischio-rendimento interessante, preferiamo il segmento euro high-yield, dove è ancora possibile ottenere rendimenti positivi, metà della volatilità delle azioni, anche nel caso di scenari estremamente negativi. Per adesso preferiamo una duration corta.

Sul fronte azionario?

Le azioni europee hanno un potenziale di crescita, come ho accennato prima. Le banche europee, che beneficiano dell’aumento dei tassi d’interesse, scambiano a uno sconto che non può essere giustificato soltanto dalla loro inferiore redditività rispetto alle loro controparti d’oltreoceano. I tecnologici statunitensi si sono significativamente deprezzati. Chi è convinto del futuro della digitalizzazione (e anche chi non lo è) oggi può trovare società leader di mercato in aree quali i servizi finanziari e di pagamento, l’e-commerce, l’intelligenza artificiale, il cloud computing a prezzi che non si vedevano da tempo. Per le small cap, che ultimamente hanno faticato, è importante attendere il picco dei tassi d’interesse. Infine, le valutazioni e i dati macro dei mercati emergenti raramente sono stati così favorevoli. In generale i settori che preferiamo sono quelli classici: energia, pharma, banche ma sempre in un’ottica di selezione e di diversificazione. Stiamo lontani dall’immobiliare e destiniamo una parte del portafoglio (non troppa) anche ai private asset, in particolare al private equity.

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