Criptovalute: attenzione al calcolo del capital gain

Il capital gain non è altro che l’eventuale plusvalenza ottenuta con la compravendita, ma in molti fanno fatica a destreggiarsi nel suo calcolo quando si tratta di Bitcoin o criptovalute.

Dal punto di vista strettamente tecnico il capital gain, o plusvalenza, è il guadagno in conto capitale. Il guadagno (potenziale), come noto, lo si ha solo nel momento in cui si vende e lo si ottiene sottraendo al ricavo il costo di acquisto. Fin qui, tutto è relativamente semplice.

Il vero problema però è, in alcuni casi, proprio determinare il costo di acquisto.  Capita infatti di non averne più memoria, soprattutto se l’acquisto è stato fatto molti anni prima e magari non si riesce più a recuperarne la traccia. A volte non ci si ricorda nemmeno dove andarlo a cercare, perchè non sempre ci si ricorda dove è stato effettuato l’acquisto. Soprattutto nel caso in cui i Bitcoin (o altre crypto) acquistati siano stati poi spostati su un wallet non-custodial, come fanno notare da Cryptonomist.ch.

Inoltre, non sempre il prezzo di acquisto è lo stesso per tutti i Bitcoin venduti. Ad esempio, se una persona acquista prima 0,1 Bitcoin e poi ne acquista altri 0,2, per poi però venderli tutti insieme ad un unico prezzo, il calcolo si complica.

Ma c’è un problema ancora maggiore.

Se una persona non vende tutti i Bitcoin acquistati, ma solo una parte, quale deve essere il prezzo di acquisto utilizzato per fare i calcoli? Ad esempio, se una persona acquista prima 0,1 Bitcoin e poi ne acquista altri 0,2, ma in seguito ne vende solamente 0,05, dovrà considerare il prezzo di acquisto dei primi 0,2 Bitcoin, o quello dei secondi 0,2?

A rigor di logica verrebbe da pensare che si dovrebbe prendere come riferimento il prezzo dei primi BTC acquistati, ma in realtà spesso si fa il contrario.

Molto dipende dalla normativa in vigore da Paese a Paese, ma dato che spesso il prezzo di acquisto di Bitcoin aumenta nel corso del tempo, in genere si preferisce prendere l’ultimo, così da ottenere un guadagno inferiore ai fini fiscali.

Però una volta scelta una delle due modalità bisogna continuare a seguire quella, fino ad eventuale esaurimento dei fondi, ovvero alla vendita di tutti i Bitcoin posseduti.

Ovviamente, mano a mano che vengono venduti, si deve poi prendere il prezzo di acquisto dei BTC più vecchi ancora posseduti dal venditore al momento della vendita, quindi il calcolo non risulta particolarmente facile.

Ad esempio, con questa tecnica una persona che ha acquistato prima 0,1 Bitcoin e poi ne ha acquistati altri 0,2, se ne vende solamente 0,05 dovrà prendere come prezzo di acquisto quello dei primi 0,05 Bitcoin acquistati.

Ma se poi in seguito ne vende altri 0,1 dovrà prendere per metà il prezzo di acquisto dei primi Bintcoincomprati, ma per l’altra metà il prezzo di acquisto dei secondi. Come è facile intuire questo complica molto il calcolo del capital gain.

La seconda modalità, quella più in uso, prevede che si utilizzino sempre i prezzi di acquisto degli ultimi Bitcoin acquistati ancora in possesso al momento della vendita.

Quindi ad esempio la persona dello stesso esempio di prima dovrà utilizzare come prezzo di acquisto per i primi 0,05 Bitcoin venduti quelli degli 0,2 Bitcoin acquistati in un secondo momento, ed anche quando dovesse vendere altri 0,1 Bitcoin continuerà ad utilizzare quel prezzo perchè gli 0,2 Bitcoin acquistati coprono sia la prima che la seconda vendita.

Ma se poi dovesse venderne una terza volta più di 0,05, allora l’eccedenza dovrebbe andare a “scaricare” i primi 0,1 Bitcoin acquistati.

Va infine detto che in genere sul capital gain, ovvero sulle plusvalenze, si pagano delle tasse, che però variano da Paese a Paese.

Spesso l’aliquota è la stessa di quella utilizzata per i mercati finanziari tradizionali, ed in genere è circa del 26%.

Oltretutto in molti Paesi vi sono delle soglie minime di guadagno sotto le quali non si pagano tasse, ed in alcuni è anche possibile scaricare dalle eventuali plusvalenze minusvalenze passate.

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