Draghi “inchioda” le aspettative dei mercati

A cura di Banca del Piemonte

La BCE con una svolta definita da molti economisti “epocale” ha annunciato la fine del programma di acquisto titoli (Quantitative Easing) a dicembre, ma la guidance fornita da Draghi e dal Consiglio Direttivo non avrebbe potuto essere più accomodante.

Le novità della riunione sono molte: prolungamento del QE oltre settembre e fino a dicembre al ritmo di 15 mld di euro mensili, dopodiché gli acquisti termineranno; i reinvestimenti dei titoli in scadenza saranno in essere per un periodo esteso di tempo dopo la fine del QE, fino a quando sarà necessario per mantenere condizioni favorevoli di liquidità; i tassi di riferimento (incluso quello sui depositi ora a -0.40%) saranno mantenuti all’attuale livello almeno fino all’estate 2019 ed in ogni caso fino a quando sarà necessario per assicurare un adeguato aggiustamento dell’inflazione; in tema di forward guidance la BCE si è detta pronta ad aggiustare tutti i suoi strumenti nel modo appropriato per assicurare che l’inflazione continui a muoversi verso l’obiettivo in modo sostenuto.

Nella conferenza stampa Draghi ha aggiunto alcune considerazioni. Il rallentamento della crescita potrebbe perdurare oltre il periodo stimato dalle previsioni sul PIL e comunque estendersi anche al secondo trimestre 2018 in alcuni Paesi. La forward guidance (riferita sia all’impegno sui tassi che all’adeguamento degli strumenti in caso di necessità) è finalizzata ad evitare un restringimento delle condizioni della liquidità in eccesso. Il piano di acquisti non sta scomparendo ma resta un’arma disponibile anche dopo la sua ultimazione ed inoltre l’affermazione sull’irreversibilità dell’euro è un elemento che tende a rafforzare la fiducia nella presenza della BCE.

L’atteggiamento della banca centrale dovrebbe inchiodare le attese di mercato per i prossimi mesi, ancorando la parte a breve dei mercati obbligazionari europei. La volatilità sui tassi è probabilmente destinata a placarsi sia sui mercati core che sui periferici, soprattutto qualora non vi siano fiammate politiche nel breve in Italia. Il Bund dovrebbe continuare a sovraperformare i Treasury americani, dal momento che la divergenza tra la FED e la BCE prosegue. La reazione si è concretizzata in un sostanziale deprezzamento dell’Euro ed in recupero dei prezzi dei governativi. Sui mercati azionari, il mantenimento prolungato del tasso sui depositi a -0.40% (almeno fino all’estate 2019) è destinato a penalizzare il comparto bancario.

Riunione del FOMC senza grosse sorprese

La riunione del FOMC (il Comitato Direttivo della FED) si è conclusa senza sorprese, con il rialzo di 25 bp dei Fed Funds, la cui finestra è stata ora spostata nell’intervallo 1.75% – 2%. Chi volesse dare un’interpretazione più aggressiva all’evento può rifarsi ai marginali cambiamenti nel testo del comunicato (quello più rilevante è stato nel definire ora la crescita dell’attività economica “solida” rispetto al precedente “moderata”) e allo spostamento al rialzo della mediana nelle proiezioni dei futuri aggiustamenti dei tassi ufficiali. Lo spostamento verso l’alto ha riguardato sia il 2018 che il 2019 (di 25 bp per entrambi): ora il comitato prevede quattro rialzi per quest’anno dai precedenti tre. Un fattore invece curioso è rappresentato dal fatto che in rapporto ai sensibili aggiustamenti alle previsioni macroeconomiche (crescita, disoccupazione ed inflazione) quelle sui tassi previsti si sono mosse relativamente poco. Ciò in qualche modo conferma la possibile disponibilità da parte della FED a lasciar correre l’inflazione anche oltre l’obiettivo in una fase di fine ciclo e potenziale surriscaldamento (si ricordi la riforma fiscale) dell’economia e dei prezzi. Un’ulteriore novità è costituita dall’annuncio di un cambio procedurale, secondo cui dal 2019 tutti i comitati (8 all’anno) saranno seguiti da conferenza stampa (ed annessa sessione di Q&A), mentre solo in 4 occasioni saranno rilasciate anche le proiezioni macroeconomiche.

Continuano le difficoltà nel comparto emergente

Le sorti del dollaro continuano ad essere il suo principale vento contrario. In conferenza Jay Powell ha ribadito che la riduzione dello stato patrimoniale della Fed (il cosiddetto Quantitative Tightening, l’azione contraria, rispetto al massiccio QE degli anni precedenti, ovvero di riduzione dei dollari in circolazione) sta “procedendo senza scosse”. La calma cui si fa cenno è però limitata agli asset domestici americani (High Yield e mercato azionario), dal momento che in realtà è evidente come la riduzione della liquidità in eccesso (in USD) stia avendo un impatto pronunciato sulle aree con maggior debolezza finanziaria (Turchia, Argentina, Brasile). L’ipotesi che Powell non si fermerà nella sua opera di normalizzazione a meno di qualche situazione di forte stress sugli asset americani, rimanendo incurante per le mini-crisi estere a cui stiamo regolarmente assistendo, resta valida. In settimana è tornata la pressione, dopo la fase di sollievo innescata dai rialzi aggressivi della banca centrale, sulla lira turca e sul reddito fisso locale (il tasso a 10Y in valuta locale ha superato quota 16% con una salita di altri 67bp). Le cause sono da ricercarsi nella situazione molto incerta disegnata dai sondaggi per le imminenti elezioni politiche. In Turchia si andrà infatti a votare per eleggere il Parlamento il 24 giugno e Presidente con doppio turno (24 giugno e 8 luglio). L’evoluzione politica va seguita con molta attenzione. L’eventuale perdita di potere di Erdogan rappresenterebbe un fattore potenzialmente positivo, solo a patto che l’alternativa all’autoritarismo non sia costituita da confusionari conflitti interni.

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