Il rally azionario perde slancio. L’asset allocation di Pictet AM

A cura della Strategy Unit di Pictet AM

La continua moderata ripresa dell’economia globale, sostenuta da generosi stimoli monetari, ha creato un contesto favorevole agli asset rischiosi come azioni e obbligazioni societarie. Nelle ultime settimane, tuttavia, la situazione è cambiata. I rischi sul fronte politico ed economico vanno aumentando. Tra questi, la corsa sempre più serrata alla Casa Bianca, le recenti turbolenze del settore bancario europeo, il referendum italiano che rischia di far cadere il governo Renzi e il possibile rialzo dei tassi di interesse USA.

In tale contesto, abbiamo ridotto l’esposizione agli asset più rischiosi, passando da una posizione sovrappesata a una neutrale sull’azionario e aumentando il livello di liquidità a un modesto sovrappeso. Manteniamo invece la sottoponderazione in ambito obbligazionario.

I nostri indicatori del ciclo economico segnalano il forte slancio degli Stati Uniti, trainati da consumi sostenuti, aumento dell’occupazione e stipendi più alti. L’indicatore della fiducia dei consumatori del Conference Board si attesta ai livelli più elevati da agosto 2007. E anche se attualmente l’inflazione è stabile, prevediamo un aumento delle pressioni sui prezzi verso metà 2017 quale effetto ritardato del consolidamento del mercato del lavoro. Nel complesso, riteniamo che l’economia USA sia sufficientemente robusta da sostenere un rialzo dei tassi in dicembre, ora sempre più probabile. Sinora l’agguerrita campagna per le presidenziali ha avuto un impatto contenuto sui mercati finanziari, ma la situazione potrebbe presto cambiare poiché il candidato repubblicano Donald Trump sta rubando consensi alla democratica Hilary Clinton che lo precede nei sondaggi. Entrambi sono a favore di ulteriori stimoli fiscali, una politica a sostegno dell’economia e, per estensione, del dollaro USA.

Sull’altra sponda dell’Atlantico, anche l’Eurozona vive una modesta ripresa trainata dai consumi privati. La crescita della regione si conferma resiliente (nonostante lo shock della Brexit) grazie agli stimoli monetari della BCE che hanno sostenuto i prestiti bancari. Tuttavia, le falle del settore finanziario europeo costituiscono un serio pericolo. La fragilità del bilancio di Deutsche Bank e i malandati portafogli di crediti delle banche regionali italiane potrebbero trasformarsi in una minaccia ben più grave per l’intera economia. Un’altra potenziale fonte di volatilità è rappresentata dal referendum italiano del 4 dicembre sulle riforme costitu zionali fortemente voluto dal primo ministro Matteo Renzi, il quale ha promesso le dimissioni in caso di fallimento.

In Giappone, le prospettive economiche sono migliorate grazie alle continue misure monetarie e fiscali, all’aumento dell’occupazione e alla crescita salariale che sostengono la spesa pubblica e privata. La BoJ ha virato bruscamente, abbandonando l’obiettivo dell’aumento controllato della base monetaria per puntare ai rendimenti delle obbligazioni governative.

Al contempo, i timori relativi all’economia cinese si sono attenuati alla luce dei robusti dati sui consumi e sulla produzione industriale: gli utili del settore industriale cinese hanno infatti segnato il primo rialzo in tre anni. Preoccupano tuttavia i deflussi netti di capitale dal Paese, saliti in agosto a 41 miliardi di dollari, il livello più elevato da inizio anno. Un altro rischio è rappresentato dal boom immobiliare, che potrebbe indurre le autorità a non adottare nuove misure di stimolo.

Su altri mercati emergenti si è osservata una rinascita economica sostenuta dalla spesa al consumo in settori sensibili all’allentamento monetario e fiscale, come quello delle auto. Le esportazioni restano però il tassello mancante, data la continua contrazione in termini nominali. In effetti, la crescita economica dei Paesi emergenti sembra aver raggiunto il picco. I nostri indicatori della liquidità restano su livelli neutrali ma ci sono indizi di un prossimo deterioramento delle condizioni creditizie, che potrebbe destabilizzare gli asset rischiosi.

Negli Stati Uniti, l’inasprimento è sempre più vicino, mentre la BoJ ha momentaneamente abbandonato l’obiettivo legato alla base monetaria. Inoltre, i circuiti internazionali del credito sembrano risentire di una diminuzione dei prestiti in dollari in vista di modifiche alle normative sui mercati monetari statunitensi. Di conseguenza lo spread sul LIBOR-OIS a tre mesi (misura del costo dei finanziamenti in dollari per le banche) ha toccato i massimi in oltre sette anni. E ci sono segnali che la minore disponibilità di finanziamenti in USD possa coincidere con una generale riduzione degli stimoli delle banche centrali.

La liquidità offerta dalle prime cinque autorità monetarie a livello mondiale dovrebbe più che dimezzarsi rispetto al picco dello scorso gennaio. Ciononostante, l’espansione della massa monetaria negli USA si conferma molto robusta (tasso annualizzato del 10%). I nostri modelli di valutazione dipingono un quadro ragionevolmente ottimistico per le asset class rischiose. I titoli azionari scambiano ai massimi decennali (attualmente i PE globali si attestano a 16) pur restando convenienti rispetto alle obbligazioni, mentre margini societari e le prospettive di utile vanno migliorando. In base a parametri compositi, le valutazioni azionarie sono tuttora inferiori del 15-20% rispetto al picco dei precedenti cicli.

I titoli di Stato si attestano ai livelli più elevati di sempre. Dal nostro modello risulta che i rendimenti dei Treasury a 10 anni sono inferiori al fair value di circa 130 punti base. L’unico mercato a reddito fisso conveniente è quello del debito emergente in valuta locale. Anche i nostri parametri del contesto tecnico segnalano uno scenario positivo per gli asset rischiosi, dato che nei prossimi mesi l’azionario godrà del sostegno di fattori stagionali. Inoltre, l’ampiezza del mercato aumenta (ovvero la porzione dei titoli di un indice che partecipa a un rally), suggerendo ulteriori guadagni nei mesi a venire. La recente diminuzione dell’attività di M&A e riacquisto di azioni costituisce però un segnale d’allarme, che riduce la domanda di titoli azionari.

È il momento di ridurre l’esposizione all’azionario emergente

Benché il contesto macroeconomico globale si confermi favorevole, abbiamo deciso di passare da un assetto sovrappesato a uno neutrale sull’azionario emergente in previsione di alcuni ostacoli politici e finanziari che potrebbero presentarsi nei prossimi mesi. Ridurre il peso dell’asset class sembra ragionevole alla luce della sensibilità ai rischi per la crescita globale e della recente ottima performance.

All’inizio dell’anno, le azioni dei mercati emergenti erano convenienti quasi quanto durante la crisi asiatica del 1998, mentre ora presentano valutazioni appena inferiori a quelle dei mercati avanzati. I listini asiatici sono più interessanti di quelli dell’America Latina. Se in termini storici le azioni dei mercati emergenti asiatici presentano un premio del 10%, attualmente scambiano con uno sconto del 10%. Questa nuova allocazione riflette inoltre i nostri dubbi sui dati cinesi, che hanno superato le attese nel corso dell’estate dopo il forte rialzo del mercato residenziale dovuto agli stimoli fiscali varati dal governo.

La fiducia dei consumatori ha recuperato terreno insieme ai profitti societari, in ripresa per la prima volta da diversi anni. Ma non siamo tanto sicuri che, dopo aver organizzato la stabilizzazione dell’economia, il governo cinese terrà il piede sull’acceleratore. Le autorità sono consapevoli che questa schiarita si deve in gran parte a un ulteriore forte ricorso all’indebitamento; prevediamo quindi una riduzione delle misure nel secondo semestre.

Non abbiamo apportato altre modifiche al posizionamento regionale. Manteniamo il sovrappeso sul Regno Unito a fronte della sorprendente resilienza dell’economia locale dopo la Brexit; in molti temevano infatti che la decisione di lasciare l’UE scatenasse una repentina recessione. Il budget di previsione presentato dal governo per l’autunno potrebbe tuttavia sollevare dubbi sul prossimo anno. Sulle borse dell’area euro confermiamo un assetto neutrale.

La crisi del settore bancario della regione è fonte di serie preoccupazioni. Proprio quando era stata trovata una soluzione temporanea al pesante indebitamento di Monti Dei Paschi, ecco che si sono accesi i riflettori sui fragili indici di capitale di Deutsche Bank. Le dichiarazioni di diniego circa un piano salvataggio a spese dello Stato non convincono del tutto. Se una banca perde la fiducia dei mercati, la situazione può precipitare rapidamente quando i costi di finanziamento superano i tassi di interesse attivi che può applicare. Il minimo che possiamo aspettarci è un’emissione di diritti altamente diluente.

Tuttavia, in Europa le azioni scambiano ai minimi di sempre rispetto ai titoli USA, mentre la crescita della regione resta superiore ai trend di lungo periodo e al dato statunitense. Sulla borsa giapponese manteniamo un giudizio positivo. Sebbene a un certo punto la BoJ potrebbe chiudere i rubinetti della liquidità, altri fondamentali restano favorevoli. Le società nipponiche sono favorite da una crescita globale più sostenuta. Al contempo, rileviamo segnali di un aumento della domanda interna: crescita dell’occupazione prossima al 2% annuo e crescita salariale allo 0,5% anno su anno. A livello globale abbiamo sovrappesato la sanità. Con tale mossa abbiamo ridotto lievemente l’allocazione ciclica ma soprattutto ci siamo coperti contro un’eventuale vittoria di Trump alle prossime presidenziali USA.

Da qualche mese il settore risente della dura posizione della Clinton sul pricing delle aziende farmaceutiche. Tuttavia, dopo una sottoperformance da inizio anno del 10% rispetto all’indice, questi titoli scambiano ora in linea con il resto del mercato in base al P/E prospettico contro un premio di lungo termine del 15%.

Per il resto la nostra esposizione è orientata prevalentemente alle aree cicliche, in particolare a industria, informatica, beni voluttuari e telecomunicazioni. Il settore telecom ci piace anche come investimento di lungo periodo alla luce di valutazioni ragionevoli, dividend yield interessanti e una ciclicità relativamente bassa. Per contro, beni di prima necessità e utility sono meno convenienti date le loro caratteristiche simil-obbligazionarie e la recente sovraperformance. Restiamo neutrali su finanza, energia e materiali, nonché sul real estate, new entry del nostro spettro di investimenti. I titoli immobiliari appaiono onerosi e vulnerabili a un eventuale rialzo dei rendimenti obbligazionari, ma i mercati giapponesi ed europei del real estate presentano un certo potenziale.

Ridurre l’esposizione all’Europa

Alla luce del probabile aumento dei tassi statunitensi in dicembre e della politica ancora accomodante della BCE, i mercati europei del reddito fisso sembrerebbero offrire opportunità di investimento più interessanti rispetto alle controparti USA. Noi crediamo che sia il contrario. Il differenziale di rendimento fra i Treasury USA e i Bund tedeschi, prossimo al massimo storico di 175 punti base, stride con la realtà economica. L’Europa cresce più velocemente rispetto agli Stati Uniti e gli investitori sottovalutano il rischio di una riduzione del programma di acquisto titoli della BCE nel 2017. Inoltre, le fluttuazioni dei prezzi nel tratto a lunga scadenza della curva USA non prendono in considerazione la svolta conciliante della Fed sui tassi a lungo termine.

Alla luce di quanto detto, confermiamo la sovraponderazione dei Treasury a lunga scadenza rispetto ai Bund. L’imminenza delle elezioni presidenziali negli USA corrobora la nostra posizione. Maggiore è l’incertezza, più numerosi saranno gli investitori che opteranno per un assetto difensivo. Malgrado le valutazioni onerose dopo la recente ottima performance, abbiamo deciso di mantenere il sovrappeso del segmento high yield USA. Dato che i mercati statunitensi del reddito fisso scontano già elevate probabilità di un inasprimento in dicembre, il margine di rialzo dei rendimenti appare limitato.

La nostra indifferenza verso il fixed income europeo si estende anche ai titoli investment grade e high yield. Grazie agli acquisti di bond programmati dalla BCE, le valutazioni del debito corporate europeo sono esorbitanti. All’inizio del mese il gruppo tedesco dei beni di consumo Henkel e la casa farmaceutica francese Sanofi sono state le prime società private europee a emettere bond con rendimenti negativi – un precedente potenzialmente allarmante. Il segmento investment grade sembra più vulnerabile a un sell-off, non da ultimo perché il volume dei nuovi bond resta elevato rispetto ai livelli storici (si veda grafico), e si teme un eccesso di offerta.

Abbiamo quindi sottopesato il mercato IG europeo e siamo passati da una posizione sovrappesata a una neutrale sui titoli HY della regione. Le obbligazioni e le valute dei mercati emergenti si mostreranno probabilmente più volatili con l’avvicinarsi delle presidenziali USA e potrebbero perdere parte dei recenti guadagni. Abbiamo quindi deciso di mantenere un assetto neutrale.

In linea con la scelta di orientare l’esposizione verso gli asset difensivi, abbiamo alzato a neutrale il giudizio sullo yen giapponese, che tende a mantenersi stabile in periodi di incertezza politica ed economica. Nell’immediato, la valuta nipponica dovrebbe inoltre godere del tapering de facto della BoJ sugli acquisti di asset. Confermiamo infine la sovraponderazione dell’oro alla luce dei crescenti rischi politici.

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