Consulenza professionale, l’80% degli italiani non la usa

SOLO IL 20% HA UN CONSULENTE – Gli italiani continuano a risparmiare, anche se meno di prima, ma sul fronte degli investimenti manifestano ancora numerose difficoltà. Lo rivela il rapporto della Consob sulle scelte di investimento delle famiglie italiane per il 2018. I comportamenti nel processo di investimento, spiega lo studio, mostrano ancora numerose criticità. La maggior parte degli intervistati dichiara di assumere le informazioni utili per l’investimento dal funzionario di banca e solo il 25% degli intervistati fa riferimento al prospetto finanziario. La maggioranza del campione ricorre ai consigli di amici e parenti (cosiddetta consulenza informale), poco più del 20% si affida alla consulenza professionale o delega un esperto, il 28% sceglie in autonomia. Inoltre, il 40% non monitora i propri investimenti. Stando al rapporto della Consob, alla fine del 2017, il 29% delle famiglie possedeva almeno un’attività finanziaria. A pesare di più nella composizione di portafoglio sono i fondi comuni e i titoli di Stato italiani (dopo i depositi bancari e postali). Gli investimenti etici e socialmente responsabili (Sri) sono invece ancora poco conosciuti e poco attrattivi: più del 60% degli intervistati, infatti, dichiara di non averne mai sentito parlare e meno di un terzo manifesta interesse dopo essere stato informato degli elementi che in astratto li qualificano.

POCA PIANIFICAZIONE – La maggior parte delle famiglie italiane si caratterizza per una capacità ancora contenuta di pianificazione e monitoraggio delle scelte finanziarie: il 40% circa non tiene un bilancio familiare, il 70% delle famiglie dichiara di controllare le spese, ma solo il 30% ne tiene traccia scritta. Solo un terzo dichiara di avere un piano finanziario e di controllarne gli esiti. Secondo quanto emerge dallo studio, le famiglie intervistate risparmiano in modo regolare (soprattutto per motivi precauzionali) in meno del 40% dei casi e in modo occasionale nel 36% dei casi, il 25% non accantona nulla, soprattutto per vincoli di bilancio. In generale, spiega la Consob, il risparmio regolare è più frequente tra i soggetti più abbienti; rilevano tuttavia anche le conoscenze finanziarie e le competenze percepite, l’abitudine a pianificare e talune inclinazioni (tra cui l’auto-efficacia, l’ansia finanziaria e l’avversione alle perdite). In merito alle competenze di calcolo, strumento indispensabile per l’accrescimento della cultura finanziaria, solo il 23% degli intervistati mostra di avere familiarità con il concetto di probabilità. E infatti, emerge dallo studio, le conoscenze finanziarie delle famiglie italiane rimangono contenute: le nozioni di base (inflazione, relazione rischio/rendimento, diversificazione, mutui, interesse composto) sono comprese da circa il 50% degli intervistati, mentre per i concetti più avanzati (relazione prezzo/tassi di interesse delle obbligazioni e rischiosità delle azioni) si registrano meno del 20% di risposte corrette. Però gli investitori rispondono meglio: ad esempio, alle domande su inflazione e relazione rischio/rendimento rispondono correttamente 7 investitori su 10, a fronte di 5 non investitori su 10.

LA CRISI HA LASCIATO IL SEGNO – Secondo il rapporto, la ricchezza netta delle famiglie italiane rimane stabile sui livelli del 2012, attestandosi a 9 volte il reddito disponibile, dato superiore alla media dei Paesi dell’area euro, che è di 8 volte. Il tasso di risparmio lordo continua però a calare e ad attestarsi al di sotto della media dell’area euro.  Quanto all’indebitamento, i nuclei familiari in Italia sono i più virtuosi, registrando a fine 2017 un rapporto debito/Pil pari al 40% a fronte di poco meno del 60% per la media dell’area euro. Riguardo il tasso di risparmio lordo, si legge nel rapporto, a fine 2017 risultava pari al 9,7%, a fronte dell’11,8% della media dell’Eurozona (nel 2004 aveva raggiunto il 15%, superando la media area euro di un punto percentuale). La crisi del 2007-2008, ricorda la Consob, ha segnato un punto di caduta che sembrava destinato al recupero tra il 2012 e il 2014, rivelatosi poi solo temporaneo. Con riferimento alle scelte di portafoglio, invece, Italia ed Eurozona continuano a registrare il tradizionale divario nel peso della componente assicurativa e previdenziale, che nel contesto domestico rimane più contenuto anche se in crescita, e dei titoli obbligazionari, comunque in diminuzione.

INDIETRO SUL DIGITALE – Per quanto riguarda l’inclusione finanziaria, prosegue il rapporto, la diffusione di alcuni prodotti e servizi bancari (conto corrente, carta di credito e carta di debito) vede l’Italia in linea con la media dell’area euro, grazie all’incremento registrato nel periodo 2011-2017. In alcuni casi rimane un più accentuato gap di genere, che vede ad esempio carte di credito e di debito meno diffuse tra le donne, mentre si sta riassorbendo il gap per livello di istruzione e per livello di reddito. Sono meno incoraggianti i dati relativi alla familiarità con gli strumenti di pagamento digitali, che vedono le famiglie italiane meno abituate a utilizzare il telefono mobile o internet per i pagamenti (poco più del 20% contro il 45% in Eurozona) e maggiormente ‘polarizzate’ in funzione di genere, reddito, livello di istruzione e occupazione.

 

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