Investimenti, outlook: mercati emergenti da una parte, dollaro dall’altra

“La crescente importanza economica dei mercati emergenti, che prevediamo possa salire dal circa 44% dell’economia mondiale al 56% entro il 2050, accrescerà la possibilità per i policymaker di quest’area di influenzare maggiormente il commercio globale e i flussi finanziari e la loro potenziale capacità di guidare una tendenza di dedollarizazione nel fatturato del commercio globale e nei flussi finanziari più ampi”. Ad affermarlo è Michael Langham, Emerging Markets Analyst di abrdn, che di seguito spiega più nel dettaglio la previsione.

Le riserve in valuta estera potrebbero anche riflettere potenzialmente una minore volontà di detenere attività in dollari. La quota del dollaro statunitense nelle riserve ufficiali di cambio è declinata gradualmente, diminuendo di oltre 10 punti percentuali negli ultimi 20 anni. Questo trend è stato in gran parte guidato da una rotazione verso altre valute dei paesi sviluppati, come l’euro, la sterlina britannica, il dollaro canadese e il dollaro australiano. Anche il renminbi cinese ha incrementato la sua quota, ma partendo da una base molto bassa.

Tuttavia, ci sono limitazioni nel considerare l’ammontare delle riserve in un senso così stretto e nell’estrapolare che ciò comporti una minore esposizione complessiva al dollaro. La crescita dei fondi sovrani e delle banche statali che gestiscono attività estere ha oscurato la vera portata delle riserve dei Paesi e, di conseguenza, è probabile che le riserve in valuta estera sottovalutino l’esposizione complessiva al dollaro. Inoltre, le azioni intraprese dai policymaker statunitensi durante la pandemia, in particolare la Federal Reserve che ha fornito un numero crescente di linee di swap in dollari e creato il programma FIMA Repo facility, hanno probabilmente rafforzato il ruolo del dollaro nel sistema monetario internazionale, anche se l’ammontare in valuta del settore ufficiale è diminuito.

Il dollaro rimane comunque la valuta dominante nel mercato dei cambi e nel finanziamento internazionale. La sua quota nelle transazioni valutarie over-the-counter è rimasta sorprendentemente stabile, e gli Stati Uniti dominano anche i mercati azionari, rappresentando il 62% dell’indice MSCI All Country e circa una quota simile nell’indice MSCI World. In effetti, i fattori che rafforzano la posizione del dollaro, ovvero l’apertura dei mercati finanziari, la qualità delle istituzioni e il suo consolidato utilizzo come valuta di transazione, sono difficili da replicare e modificare.

Sembra inoltre che siamo ancora lontani dal momento in cui le CBDC (valute digitali delle banche centrali) saranno in grado di offrire una via per bypassare il sistema basato sul dollaro. E sorgono domande sulla volontà dei mercati emergenti di intraprendere le riforme necessarie per sviluppare la qualità delle istituzioni e la profondità dei mercati finanziari, il che aumenterebbe la loro capacità di assorbire flussi di capitale attraverso canali più tradizionali.

Tuttavia, se si facessero progressi su questi fronti, potrebbe aprirsi la strada a qualcosa di simile a un sistema multi-valuta. Le misure attuate dagli Stati Uniti potrebbero portare a un’autodistruzione del dollaro. Un default tecnico – causato dalla mancata rinegoziazione del tetto del debito statunitense – o un significativo deterioramento delle istituzioni statunitensi potrebbero indebolire la posizione del dollaro e permettere ad altre valute di ottenere una posizione più dominante. Ma l’asticella da superare per minacciare la posizione del dollaro sembra essere molto alta. Il dollaro non ha perso il suo valore nonostante una crisi finanziaria globale, diverse polemiche sul tetto del debito, rivolgimenti politici e sociali e la recrudescenza dell’inflazione.

Infatti, il dollaro statunitense, su base ponderata per il commercio, è vicino al suo picco dei primi anni 2000. Coloro che si chiedono ogni notte perché il dollaro è così ampiamente utilizzato, probabilmente si faranno questa domanda per molte altre notti a venire.

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