Investimenti, ecco perchè il taglio dei dei tassi rischia di deragliare

Le crescenti tensioni geopolitiche in Medio Oriente hanno iniziato a creare disruption nelle catene di approvvigionamento globali. A seguito degli attacchi dei ribelli Houthi alle navi che attraversano il Mar Rosso e che fanno rotta verso il Canale di Suez e le principali economie globali, le maggiori compagnie di trasporto marittimo hanno segnalato notevoli ritardi nelle consegne. Le immagini satellitari mostrano che praticamente nessuna nave diretta verso i principali porti europei, statunitensi o britannici sta attraversando il Mar Rosso, e preferisce invece deviare verso l’Africa meridionale.

Quest’ultima disruption fa seguito ai problemi nel Canale di Panama, dove una combinazione di siccità prodotta dai cambiamenti climatici e variazioni delle precipitazioni dovute a El Nino ha causato un abbassamento dei livelli delle acque. Nel contempo, in Europa, l’umidità ha come conseguenza che il livello del Reno, una rotta di navigazione fondamentale per i produttori tedeschi, sia troppo alto. Inoltre, considerato che le imminenti elezioni a Taiwan comportano il rischio di nuove esercitazioni militari a opera della Cina, come quelle che hanno interrotto le rotte marittime asiatiche nel 2022, sembra che le catene di approvvigionamento globali debbano affrontare una tempesta perfetta colma di rischi.

In questo scenario, ecco di seguito la view di David Rees, Senior Emerging Markets Economist di Schroders.

Tutto ciò rievoca ricordi dolorosi: i problemi della catena di approvvigionamento scoppiati durante la pandemia di Covid-19. Essi hanno contribuito al recente aumento dell’inflazione, che, da ultimo, ha costretto le banche centrali mondiali a rialzare aggressivamente i tassi d’interesse. I mercati stanno attualmente scontando tagli aggressivi dei tassi d’interesse in Europa, Regno Unito e Stati Uniti, e alcuni tagli sono già previsti nel primo semestre del 2024.

Tutto ciò porta a chiedersi se i nuovi problemi delle catene di approvvigionamento implicheranno un aumento dell’inflazione, costringendo i policymaker a rivedere le relative prospettive.

Molto dipenderà dalla durata degli attuali sconvolgimenti, ma almeno tre importanti differenze nel contesto economico globale suggeriscono che è improbabile che i problemi nel Mar Rosso determinino un rialzo significativo dell’inflazione.

In primo luogo, le condizioni della domanda sono attualmente molto più deboli. Mentre gli ampi stimoli monetari e fiscali hanno sostenuto l’economia globale dopo le prime perturbazioni causate dalla pandemia mondiale, la crescita sta attualmente rallentando. Prevediamo una crescita del Pil mondiale di appena il 2,5% sia quest’anno che il prossimo. L’Eurozona è probabilmente già in recessione, il Regno Unito registra una certa debolezza e l’attività negli Stati Uniti sta evidenziando un raffreddamento.

In secondo luogo, mentre i lockdown per contenere la diffusione del Covid-19 hanno fatto sì che la domanda si concentrasse nel settore dei beni durante la pandemia, i modelli di consumo sono ora molto più equilibrati. In effetti, la riapertura delle economie ha determinato il fatto che, negli ultimi due anni, la domanda si orientasse nuovamente verso i servizi, lasciando il settore manifatturiero globale in recessione.

In terzo luogo, anche sul fronte dell’offerta, l’economia globale è in condizioni decisamente migliori. Mentre, durante la pandemia, la produzione era completamente bloccata per via di lockdown che venivano imposti e poi rimossi, ora non si registrano sconvolgimenti di questo tipo. Le deviazioni intorno all’Africa meridionale allungheranno i tempi di consegna, ma le merci giungeranno comunque a destinazione, il che suggerisce che vere e proprie carenze sono improbabili. Peraltro, i recenti dati commerciali della Cina, che mostrano una crescita delle esportazioni molto più rapida in termini di volumi che non di valori, suggeriscono che le aziende, almeno in alcuni settori, sono costrette a scontare i prezzi per smaltire le capacità in eccesso.

Rischi per l’offerta di materie prime

Un rischio più immediato per l’inflazione globale subentrerebbe se le tensioni in Medio Oriente iniziassero a influenzare l’offerta di materie prime, in particolare facendo salire i prezzi dell’energia. Si tratta di un aspetto che abbiamo iniziato a monitorare nel nostro ultimo ciclo di previsioni. In uno dei nostri scenari, focalizzato sulle crisi geopolitiche, ipotizziamo che, oltre alle frizioni commerciali, un ampliamento delle tensioni nella regione potrebbe far salire i prezzi del petrolio verso i 120 dollari al barile. La nostra simulazione prevede che l’economia globale si muoverebbe verso una stagflazione, dato che l’aumento dei costi energetici farebbe salire l’inflazione, col rischio di effetti secondari (data la rigidità dei mercati del lavoro) che peserebbero sulla crescita, costringendo le banche centrali a rinunciare ai tagli dei tassi e, forse, anche a ulteriori rialzi.

Tuttavia, finora, i prezzi del petrolio hanno registrato un andamento soddisfacente e il petrolio greggio Brent è rimasto sostanzialmente invariato, a poco meno di 80 dollari al barile.

Tuttavia, quantomeno, l’ultimo intoppo nelle rotte di trasporto costituisce l’ennesimo promemoria dei rischi associati a lunghe catene di approvvigionamento in un mondo sempre più frammentato. Di conseguenza, il riassetto delle filiere globali, che costituisce un pilastro fondamentale del nostro scenario del “3D reset”, sembra destinato a proseguire.

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