Gli scenari possibili sulla Bce

A cura di Axel Botte, Fixed Income Strategist di Natixis Asset Management
Questa settimana la BCE potrebbe estendere il suo programma di acquisti per altri nove mesi, fino a settembre 2018. Gli acquisti mensili saranno ridotti a 30 miliardi di euro. I flussi sui covered bond diminuiranno significativamente il prossimo anno, mentre gli acquisti su asset backed securities termineranno a fine anno. I bond del settore pubblico e i corporate bond saranno invece i principali componenti del programma di acquisto.
L’allocazione principale delle risorse non sarà modificata (nonostante le ampie deviazioni nell’implementazione del PSPP) e il 33% sui titoli del debito sovrano resterà invariato. L’orientamento di procedere a un aumento dei tassi ben oltre la fine del QE sarà mantenuto. Fino a oggi la BCE è acquirente marginale nelle negoziazioni del debito sovrano e dei corporate bond. Ciò ha fatto sì che gli investitori spostassero il loro interesse verso high yield, azioni, mercati dei prestiti e mercati esteri. Questo era il programma di riequilibrio del portafoglio destinato alla trasmissione delle politiche monetarie. La BCE continuerà a reinvestire i proventi anche negli anni successivi, ma gli acquisti netti scenderanno a zero entro il quarto trimestre del 2018.
Gli attuali livelli dei rendimenti sono alterati dall’eccesso di domanda proveniente dalla BCE e dalle altre banche centrali dell’area non-euro. La rimozione dell’atteggiamento accomodante consentirà di ripristinare il processo di determinazione dei prezzi. Draghi è consapevole dei rischi di riduzione brusca degli stimoli. Gli spread sono più ristretti nel mercato dei corporate bond e potrebbero subire una decompressione quando la BCE uscirà dal QE.
A meno che la crescita inizi a indebolirsi, la qualità del credito dovrebbe migliorare e fornire un tetto sugli spread. Anche per i mercati azionari la crescita è importante. Le valutazioni in Europa non sono elevate, mentre il mercato americano appare invece ricco e su diversi fronti. Ci aspettiamo pertanto un impatto moderatamente negativo sul mercato del credito e sui mercati azionari.
Qualora Mario Draghi dovesse optare per un’azione più moderata, ad esempio un QE a tempo indeterminato, si assisterebbe a una maggiore scarsità delle emissioni. I prezzi core dei bond (Germania, Finlandia, Paesi Bassi) saliranno verso l’alto, mentre i rendimenti scenderanno ulteriormente in territorio negativo. I bond periferici potrebbero soffrire dell’incertezza politica e dalla mancanza di fiducia verso i policy makers.
L’euro a quel punto si deprezzerebbe ancora, innescando di nuovo una guerra della valute. I Linker dovrebbero fare bene in questo contesto. Ciò sarebbe però in netto contrasto con gli attuali sforzi di coordinarsi con le politiche restrittive delle altre banche centrali. L’uscita dei capitali privati e le riallocazioni del portafoglio verso asset non-euro probabilmente riemergerebbero. Gli asset denominati in euro tenderebbero a sottoperformare in termini valutari.
Al contrario, in un contesto più restrittivo, i falchi della BCE canterebbero vittoria e chiederebbero immediatamente un declino del QE. La BCE alzerebbe i tassi prima del previsto (prima cioè del 2019). L’attuale tasso guida sarebbe modificato. Le aspettative di inflazione potrebbero essere la ragione di una politica più restrittiva. Aumenterebbe inoltre la pressione per aumentare i tassi reali di interessi a livelli compatibili con l’attuale livello di crescita economica. In un caso estremo, i reinvestimenti del QE potrebbero terminare.
I rendimenti dei bond salirebbero e le valutazioni delle azioni e delle obbligazioni si riposizionerebbero su un livello inferiore. Lo steepening della curva sarebbe accompagnato da più alti spread del debito sovrano e del credito e da un euro più forte per il timore di un rallentamento economico.

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