Collin (Invesco): “Il referendum italiano non è un rischio per l’area euro”

A cura di Oliver Collin, gestore del team Euro Equities di Invesco

Dall’inizio dell’anno, il principale indice italiano, Ftse Mib, è sceso del 26% sottoperformando il mercato europeo in generale di circa il 22%. Tale flessione è stata alimentata dalle preoccupazioni per l’elevato livello di crediti deteriorati lordi del sistema bancario italiano e dall’imminente referendum. Quest’ultimo assume particolare importanza in quanto precede gli aumenti di capitale nel settore bancario e, a differenza della situazione pre-Brexit, il mercato ha deciso di posizionarsi con prudenza.

Il referendum italiano è destinato a incidere non soltanto sull’Italia. I timori per il referendum italiano stanno contribuendo negativamente anche all’asset allocation azionaria europea in generale e i nostri clienti di tutto il mondo, da Lima a Taipei, lo citano come una delle principali preoccupazioni. Il 2016 rappresenta chiaramente un’anomalia, soprattutto alla luce del fatto che negli ultimi 6 anni gli investitori internazionali hanno dovuto assimilare la crisi bancaria, la crisi del debito sovrano, la crisi greca…ecc.

Poiché il referendum italiano è apparentemente diventato “il” problema nel breve termine, abbiamo ritenuto utile esporre gli elementi fondamentali che caratterizzano la fase di preparazione al voto del 4 dicembre.
1) Il quesito
Il referendum italiano è completamente diverso dal voto sulla Brexit del Regno Unito. La Costituzione Italiana (Articolo 75) non ammette il referendum di autorizzazione a ratificare trattati internazionali quali per esempio l’adesione all’Unione Europea. Possiamo quindi porre fine a questo malinteso.
Vale inoltre la pena notare che in Italia i referendum non sono inconsueti, in quanto ne sono stati indetti decine a partire dal 1948 e questo è il terzo importante referendum costituzionale dal 2001.
Il quesito del referendum di dicembre 2016 è il seguente:
“Approvate il testo della legge costituzionale concernente “Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL (“Consiglio Nazionale Economia e Lavoro”) e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione?”
In sostanza, il quesito chiede agli Italiani se vogliono accelerare il processo legislativo nazionale e ridurre i costi di governo. In particolare, il quesito chiede agli Italiani di ridurre i poteri di legiferare del Senato e di diminuire il numero di senatori da 315 a 95. Chiede inoltre la restituzione di maggiori poteri dal livello regionale al governo centrale. Tutta questa riforma è concepita per semplificare il processo legislativo e migliorare la capacità di riforma dell’Italia.

2) Perché quindi il referendum italiano è diventato un problema?
Perché Renzi l’ha trasformato in un voto sul proprio governo. Il Primo Ministro italiano Matteo Renzi non è stato eletto e la carica gli deriva dal fatto di essere diventato segretario del Partito Democratico (PD) 8 mesi dopo le elezioni politiche. Sullo slancio della sua iniziale popolarità, ha promesso di dimettersi QUALORA l’esito dell’imminente referendum fosse No. Tuttavia, nei mesi successivi, il PD ha perso terreno sul piano politico a favore del populista Movimento 5 Stelle, in quanto gli elettori sono stati delusi dal lento progresso delle riforme. Gli ultimi sondaggi danno il M5S al 30,3%, il PD al 29,3%, Forza Italia (Berlusconi) al 12,3% e la Lega Nord al 12,1%. Nell’intento di sfruttare il calo di popolarità di Renzi, il M5S e la Lega Nord invitano a votare NO. Anche Forza Italia sembra incline al No.
Tutto ciò significa che l’esito del referendum non ha di per sé un’enorme importanza, il che lo rende completamente diverso da quello britannico. Se da un lato la vittoria del No è destinata a frenare la capacità italiana di compiere riforme, dall’altro il rischio reale è che possa dare luogo a turbolenze politiche.
Renzi è apparentemente consapevole dell’errore compiuto personalizzando il voto e nei tempi sembra fare retromarcia rispetto alla promessa. La sua capacità di rimanere dipenderà dalla percentuale di votanti (se bassa, sosterrà che è espressione di scarsa legittimità) e dalla misura in cui perderà il referendum.
Anche nello scenario “peggiore”, in cui Renzi dovesse dimettersi, un cambio di governo è tutt’altro che automatico e non è detto che siano automaticamente indette elezioni politiche. Nell’ipotesi in cui le dimissioni di Renzi fossero accettate dal Presidente della Repubblica (cosa non certa), il PD nominerebbe un nuovo segretario e con ogni probabilità il Presidente della Repubblica chiederebbe al nuovo segretario di formare un nuovo governo, mantenendo così lo status quo italiano.
Per inciso, alcuni commentatori politici più cinici sottolineano che, a causa di interessi personali, sono pochi i parlamentari che vogliono le elezioni politiche: l’attuale mandato parlamentare scade infatti tra soli 18 mesi e i parlamentari che restano in carica per un’intera legislatura incassano pensioni estremamente generose.
Di conseguenza, in uno scenario sfavorevole, l’Italia perde il Primo Ministro riformista, evento non positivo per il paese. Per di più, con un governo impotente. Ciò non significa però un rischio di contagio per il resto dell’Europa.

3) Italiani a favore del cambiamento salvo che in politica
Il principio fondante di quello che al momento è il primo partito politico, il populista Movimento 5 Stelle, era il cambiamento. È diventato popolare sulla scia della protesta del suo carismatico leader (Beppe Grillo) contro il governo pachidermico, opulento e corrotto, con la promessa d cambiare il modo in cui funziona la politica italiana. Sebbene il referendum sia in linea con questi principi fondanti, Grillo invita a votare No, sottolineando che Renzi deve essere mandato via. L’importanza di Grillo resta da vedere: dopo le vittorie a Roma e Torino in estate, il Movimento 5 Stelle è già stato accusato di incompetenza e corruzione, subendo così un calo di popolarità.
Gli attuali sondaggi danno il “No” in testa, ma circa il 40% degli intervistati è ancora indeciso. Come già ricordato, i referendum sono consueti in Italia, di norma con basse percentuali di interesse e partecipazione. Trattandosi di un referendum costituzionale, l’interesse dovrebbe essere più elevato, ma solo a mano a mano che la data si avvicina. È probabilmente indicativo il fatto che Roberto Benigni, il celebre vincitore italiano di un premio Oscar, sia una delle pochissime celebrità ad avere chiaramente espresso la propria posizione sul referendum. Pur essendo personalmente tra gli oppositori di Renzi, ha dichiarato: “Se vince il No sarà peggio della Brexit. È indispensabile che vinca il Sì. Bisogna pensare al bene degli italiani”. Il concetto è chiaro: votate Sì, non per sostenere Renzi, ma perché l’Italia ha bisogno di riforme. Siccome la crescita italiana è tra le più basse in Europa e dopo la crisi finanziaria vi è stata una mancanza di riforme reali, è illogico che gli Italiani votino No.
La posizione di Forza Italia è interessante. Finora ha tiepidamente sostenuto il No, il che è significativo in quanto Berlusconi controlla la maggiore società televisiva italiana, Mediaset. Berlusconi ha 80 anni e sta lentamente riprendendosi da un recente intervento. Non rappresenta la minaccia politica di un tempo e pertanto il suo partito è con ogni probabilità destinato a comparire in una coalizione di governo soltanto come componente di minoranza. Forza Italia ha quindi tutto da perdere dalla nuova legge elettorale (Italicum) approvata a luglio 2016. In contropartita, una modifica dell’Italicum potrebbe indurre Forza Italia a sostenere maggiormente il referendum e le ultime voci indicano che Renzi è pronto ad apportare qualche modifica.

4) Cos’è l’Italicum?
È importante ricordare che l’Italicum non è direttamente legato al referendum e che da luglio 2016 costituisce una legge italiana.
Per Italicum s’intende il nuovo processo elettorale italiano, che diventa un sistema articolato in due turni. Se un partito ottiene il 40% dei voti al primo turno, conquista il 54% dei seggi e si evita così il problema di governi deboli che ha caratterizzato l’Italia a partire dagli anni ‘70. Se nessun partito raggiunge il 40%, dopo 2 settimane si tiene un secondo turno nel quale gli elettori sono chiamati a scegliere tra i due singoli partiti che hanno ottenuto il maggior numero di voti al primo turno. A quel punto, il partito vincente ottiene il 54% dei voti e i seggi rimanenti sono proporzionalmente ripartiti in base ai risultati del primo turno.
Renzi si è battuto per l’approvazione della riforma e ciò gli è costato un calo di popolarità; i partiti di minoranza hanno a loro volta protestato asserendo che le regole devono essere cambiate per il timore che il nuovo sistema ne riduca pesantemente il ruolo. Una delle modifiche proposte prevede la costituzione di coalizioni tra partiti diversi allo scopo di costituire una delle due formazioni alternative al secondo turno. Se Renzi propone una modifica all’Italicum, lo fa sicuramente nell’ottica di sostenere il referendum.

In conclusione, riteniamo che questo referendum non comporti un rischio di contagio per l’Europa perché non è in gioco l’Europa, ma si tratta di una riforma italiana interna. Anche qualora gli Italiani votassero No e Renzi si dimettesse, è arduo prevedere un duraturo impatto negativo sulle azioni europee, in considerazione del sottopeso iniziale. Sebbene sia probabile un breve periodo di volatilità di mercato, crediamo che sia sbagliato prospettare una sorta di “Brexit 2”.
Una delle misure di valutazione usate dal team responsabile dell’Europa è il rapporto Shiller, ossia gli utili rettificati ciclicamente. Come illustrato nella tabella seguente, l’Europa e l’area euro sono rispettivamente scambiate a uno sconto del 18% e del 36% rispetto alle medie di lungo termine, a conferma del fatto che gran parte dell’evento è già scontata nel prezzo. Per quanto riguarda specificamente l’Italia, il mercato è già del 60% inferiore alla media storica, una media che si basa sullo status quo. Se gli elettori italiani votano Sì e optano così per il cambiamento, è lecito aspettarsi un netto mutamento del sentiment nei confronti dell’Italia e una rivalutazione dei titoli?

pe-paesi

Riteniamo che vi siano buone opportunità d’investimento in Europa e non abbiamo modificato i nostri portafogli in funzione del referendum italiano. Siamo assolutamente convinti che il referendum italiano non costituisca un rischio fondamentale per l’area euro e la politica europea. Come abbiamo più volte segnalato in precedenza, stiamo assistendo a un graduale miglioramento delle condizioni economiche in Europa (PMI, occupazione, massa monetaria, tassi di finanziamento), che ci infonde fiducia nel nostro positivo posizionamento pro-ciclico. Sottolineiamo inoltre che i momenti in cui, in passato, il mercato ha concentrato l’attenzione sulla politica regionale, hanno generalmente rappresentato buone occasioni per trarre profitti dalla selezione titoli bottom-up.

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