Mercati: la curva dei rendimenti riflette un soft landing e un rialzo dell’azionario

Settimana importante quella che si apre oggi sul fronte macro e che vedrà, giovedì, la decisione delle Bce sui tassi di interesse. Inoltre, domani sarà il turno dell’indice ZEW di agosto le cui previsioni indicano che la fiducia delle imprese è in peggioramento (stima -15 punti contro -12,3 di luglio). Importante sarà poi anche la giornata di mercoledì dove è attesa l’inflazione Usa di agosto, prevista in crescita al 3,6% (dal 3,2% di luglio) che se dovesse essere confermata non aiuterebbe certo la decisione della Fed il cui meeting è previsto per il 20 settembre.

Se riduciamo tutte le componenti, ci sono due fattori principali che sostengono i mercati finanziari: il mercato del lavoro e l’inflazione. In sostanza, gli investitori tifano affinché il primo salga e il secondo scenda. Tuttavia, la realtà non è così semplice e queste due tendenze non si escludono a vicenda.

Due settimane fa, la serie di dati sull’occupazione statunitense indicavano che il mercato del lavoro si stava indebolendo. I tassi sono scesi e le azioni sono aumentate con la premessa che ciò sarebbe stato utile per l’inflazione, e quindi per la politica della Fed. La scorsa settimana, i mercati si sono spostati verso l’altra zona terminale mentre i rapporti in arrivo dipingevano un quadro occupazionale più sano e i riflettori si sono spostati sulle potenziali implicazioni per l’inflazione futura, con una nuova lettura dell’indice dei prezzi al consumo.

Allo stesso modo in cui un quarterback ottiene la maggior parte del credito sia per le vittorie che per le sconfitte, è giusto che i mercati siano strettamente legati agli sviluppi dell’occupazione e dell’inflazione. Riteniamo tuttavia che esistano altre tendenze in atto che, pur ottenendo meno clamore al momento, offrono ulteriori segnali sullo stato del mercato. Il primo di questi è l’aumento della produttività che aumenta il potenziale di resilienza economica.

I dati pubblicati la scorsa settimana hanno mostrato che la produttività Usa è aumentata del 3,5% nell’ultimo trimestre, il livello più forte dal 2020 e, escludendo le distorsioni dovute alla pandemia, il valore più alto dal terzo trimestre del 2017.

Una maggiore produttività dovrebbe fornire un sostegno al rialzo del PIL, soprattutto se accompagnata da una crescita della forza lavoro, come risulta particolarmente evidente nell’ultimo rapporto sull’occupazione.

Le espansioni alla fine degli anni ’90 e dopo la crisi finanziaria del 2008 hanno visto un aumento della produttività che, se replicato in futuro, sarebbe una fonte di crescita sostenuta del Pil e che potrebbe sostenere l’economia nel resistere ai venti contrari di una politica monetaria più restrittiva. Risulta chiaro ed evidente come ulteriori aumenti di produttività potrebbero effettivamente aiutare la Fed nella misura in cui il suo aumento possa avere un impatto frenante sull’inflazione, soprattutto in un contesto di moderazione della crescita salariale, come quello attuale.

Siamo rimasti piacevolmente sorpresi dalla resilienza dell’economia Usa quest’anno. Non siamo convinti che la produttività sosterrà pienamente il tasso di crescita registrato lo scorso trimestre, ma suoi ulteriori forti incrementi, a nostro avviso, aggiungerebbero ulteriore supporto alle prospettive in cui l’inflazione possa scendere mentre l’economia gode di una crescita continua.

Nel frattempo sui mercati assistiamo a un ulteriore irripidimento della curva dei rendimenti che, riteniamo, riflette il potenziale per un atterraggio morbido.

Fonte: FactSet. Rendimenti dei titoli del Tesoro USA a 10 e 2 anni.

Il grafico evidenzia che la curva dei rendimenti rimane invertita ma si è inasprita nelle ultime settimane poiché i tassi a lungo termine hanno risposto a dati economici forti mentre i tassi a breve termine hanno risposto alla fine dei rialzi dei tassi in vista. Il peggioramento dell’inversione della curva dei rendimenti (quando i tassi a breve termine sono superiori a quelli a lungo termine) che ha preso forma nel 2022 e nella prima parte del 2023, è stato guidato dall’aggressivo inasprimento della Fed che ha spinto la parte a breve della curva dei rendimenti drammaticamente più in alto. Dopo che la crisi bancaria ha offerto una tregua con il calo dei tassi, una serie di dati economici migliori del previsto hanno portato i tassi a breve ai massimi del 2023 quest’estate.

Più recentemente, la curva dei rendimenti (misurata dai tassi dei titoli del Tesoro a 10 anni e a 2 anni) ha iniziato a irripidirsi, con i tassi a breve termine che sono leggermente scesi man mano che la fine dei rialzi dei tassi della Fed si avvicina, mentre i rendimenti a lungo termine sono aumentati, in parte sulle aspettative di crescita economia. E questo è fondamentale, perchè riflette due componenti che riteniamo saranno necessarie per un mercato rialzista duraturo: un’economia in crescita che supporti l’aumento dei profitti aziendali e la fine del ciclo di rialzi dei tassi da parte delle Fed.

Un irripidimento della curva dei rendimenti non elimina ovviamente dal tavolo le prospettive di una recessione economica. In effetti, la curva dei rendimenti ha toccato il fondo e ha iniziato a irripidirsi in anticipo rispetto alle recessioni del 1990, 2001 e 2008. Tuttavia, un significativo irripidimento della curva è tipicamente associato al fondo di un mercato ribassista e all’inizio di un nuovo mercato rialzista per le azioni.

In definitiva, come parte di un’espansione sostenuta del mercato, avremo bisogno di vedere la curva dei rendimenti non invertita (i tassi a breve scendono al di sotto dei tassi a lungo), che probabilmente non prenderà forma finché la Fed non si avvicinerà al taglio dei tassi, qualcosa che dubitiamo diventerà realistico fino alla fine del 2024.

A cura di Antonio Tognoli, responsabile macro analisi e comunicazione di Cfo Sim

Vuoi ricevere le notizie di Bluerating direttamente nella tua Inbox? Iscriviti alla nostra newsletter!