Investimenti tematici, agrifood: innovazione e sostenibilità cambiano le regole del gioco

Negli ultimi anni l’agricoltura e la produzione alimentare sono finite sotto i riflettori. La crescente imprevedibilità dei modelli meteorologici (dovuta almeno in parte ai cambiamenti climatici), la guerra in Ucraina e le impennate dei prezzi pongono la sicurezza alimentare in cima alle agende della maggior parte dei Governi. Le restrizioni alle esportazioni possono solo esacerbare le preoccupazioni esistenti. Fornire cibo a una popolazione mondiale in costante aumento rimane una delle finalità chiave per il settore richiamata anche nel secondo Obiettivo di Sviluppo delle Nazioni Unite (Fame Zero).

In questo scenario, ecco di seguito la view, in ottica di investimenti, di Ignace De Coene, gestore Fundamental Equity di DPAM.

Un caso esemplificativo riguarda la ridotta disponibilità (o il timore di una ridotta disponibilità) dell’olio di girasole e dei cereali (grano e mais). Questo ha portato gli attori della catena alimentare ad aumentare le scorte, con conseguente aumento dei prezzi, ma anche a grandi cambiamenti nei flussi logistici, dato che l’Ucraina e la Russia erano i principali fornitori dei Paesi africani (da qui lo sconvolgimento di molti Paesi africani quando la Russia è uscita dall’accordo sui cereali). Una riduzione dell’offerta (e timori sulla futura disponibilità di olio di girasole) ha innescato un aumento della domanda di prodotti alternativi come l’olio di palma, i cui prezzi sono aumentati. Questo ha indotto i governi produttori a implementare politiche restrittive, come ha fatto l’Indonesia con il divieto di esportazione al fine di abbassare i prezzi interni.

Dato l’elevato impatto del settore sulle emissioni globali, il miglioramento della sostenibilità della produzione alimentare è fondamentale nella lotta al cambiamento climatico. La velocità con cui il settore potrà ridurre le emissioni dipenderà in larga misura dalle politiche governative (nella maggior parte dei Paesi l’agricoltura classica è fortemente sovvenzionata) e dalle decisioni dei consumatori.

In questo contesto, piuttosto che sperare in una rapida diffusione di innovazioni come l’alimentazione a base vegetale, sarebbe preferibile investire in innovazioni che riducano l’impatto degli attuali metodi di produzione. Ciò è in linea con il quadro “Farm to Fork” definito dalla Commissione Europea, che combina una minore impronta ambientale con altri elementi come la sicurezza alimentare e un impatto ridotto sull’ambiente (emissioni più limitate, biodiversità, adattamento al clima e molto altro).

Per illustrare questo aspetto, diamo un’occhiata all’olio di pesce, ampiamente utilizzato nell’alimentazione animale (mangimi per suini e pesci) per il suo contenuto di omega 3 e omega 6. Per il momento, l’olio di pesce proviene per lo più da pesca selvaggia, come quella delle acciughe al largo delle coste del Perù. L’approvvigionamento è regolato da quote per evitare il sovrasfruttamento, creando così una grande volatilità sia nell’offerta sia nei prezzi. È stata sviluppata una fonte alternativa, che consiste nella produzione di alghe attraverso un processo di fermentazione e che fornisce gli ingredienti necessari (omega 3 e 6): ha un costo stabile (attualmente persino più economico dell’olio di pesce) e riduce l’impatto sull’ambiente.

Nell’ultimo decennio l’innovazione ha subito un’accelerazione e le aziende hanno proposto prodotti molto interessanti che possono cambiare il settore. Deere ha lanciato See & Spray, un prodotto di irrorazione ad alta tecnologia che riduce materialmente l’uso di sostanze agrochimiche. DSM-Firmenich, oltre al suo coinvolgimento nell’olio di pesce alternativo, ha portato sul mercato Bovaer, che riduce le emissioni di metano dei bovini. E non dimentichiamo gli sforzi compiuti dall’industria alimentare per migliorare la qualità degli alimenti riducendo lo zucchero o sostituendo gli ingredienti chimici con quelli naturali.

Le prospettive del settore sono quindi strettamente legate all’innovazione continua. La sfida principale non è solo produrre di più, ma produrre una quantità sufficiente di cibo gustoso e salutare, con un impatto minimo sull’ambiente. Si tratta anche di ridurre gli sprechi alimentari, fattore determinante per raggiungere questo obiettivo. Le aziende che affrontano queste sfide possono trarre vantaggio nel medio e lungo termine. Idealmente, per aumentare la probabilità e la velocità di adozione delle innovazioni, devono esserci vantaggi per tutti: per l’agricoltore/produttore (costi inferiori), per il consumatore (alimenti più sani) e per l’ambiente (meno risorse, meno emissioni). Associare un costo all’impatto ambientale (o agli alimenti non salutari) invece di sovvenzionare semplicemente la produzione può essere utile per “indirizzare” sia i produttori sia i consumatori verso una produzione e una dieta meno impattante.

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