“Hard Brexit” e “soft power”

A cura di Amundi Am
Dopo sei mesi di calcolata discrezione, martedì 17 gennaio il Primo ministro britannico Theresa May ha reso note le indicazioni riguardo alla strategia del suo governo sulla Brexit e al futuro assetto delle relazioni economiche tra Regno Unito e Unione europea. Gli obiettivi perseguiti dal Regno Unito saranno i seguenti:
Uscita totale dal mercato unico europeo, con la conseguenza che il Regno Unito non sarebbe più soggetto alla giurisdizione della Corte di giustizia euro-pea, riacquisterebbe la sovranità in materia di immigrazione e ridurrebbe note-volmente il proprio contributo al bilancio europeo.
Stipula di un accordo di libero scambio con l’UE ma senza una piena unione doganale, per cui il Regno Unito sarebbe libero di siglare accordi commerciali con altri Paesi. Tale accordo dovrà essere firmato entro il 2019, essere approvato dal Parlamento britannico e prevedere un processo di attua-zione a più fasi (a tal proposito occorre tenere presente che la scadenza stabili-ta dalla legislazione europea per l’uscita di uno Stato membro è di due anni, e che le elezioni generali nel Regno Unito si terranno nel 2020).
Theresa May ha inoltre messo in guardia gli europei dall’agire con “intento punitivo nei confronti del Regno Unito”, affermando di preferire “un mancato accordo a un accordo svantaggioso per il Regno Unito” e sottolineando che, in una simile evenienza, il suo Paese potrebbe ricorrere a un adeguamento normativo e dell’imposizione fiscale per rafforzare la propria competitività.
L’annuncio della scelta di una “hard Brexit” (ossia di un divorzio netto dal mercato unico), almeno rispetto all’orientamento iniziale più favorevole a una negoziazione, offre perlomeno il chiarimento atteso da tempo, in un contesto in cui fino a poco tempo fa numerosi osservatori si chiedevano se, in virtù di alcune concessioni reciproche, sarebbe stato possibile mantenere una situazione vicina allo status quo (se non, addirittura, annullare in toto il processo della Brexit).
Ciò non renderà però meno accidentato il percorso verso un accordo che, anzi, sarà ulteriormente ostacolato dall’incertezza relativa al contesto politico:
Gli ultimi eventi attuali sembrano dar ragione al fronte britannico: non si è infatti assistito a una fuga in massa degli investitori dal Regno Unito, e il nuovo Presidente USA ha dichiarato forte e chiaro di sostenere la Brexit come pure la prospettiva di un accordo commerciale bilaterale. Questo stato di cose è però suscettibile di cambiamenti, al pari della situazione nella zona Euro (alla luce della fitta agenda elettorale nel 2017) e del contesto geopolitico (l’eventualità di nuovi shock potrebbe far entrare il tema della sicurezza tra quelli dibattuti al tavolo delle trattative, in un contesto in cui le dichiarazioni del Presidente americano sollevano interrogativi sul futuro della NATO).
I timori di un contagio della Brexit sono destinati a perdurare. Nonostante i moniti in proposito di Theresa May, qualsiasi accordo che possa trasmettere l’impressione che un Paese può ottenere maggiori benefici al difuori dell’UE che non al suo interno incontrerà una strenua resistenza nel Vecchio Continente.
La stipula di un trattato di libero scambio in un arco di tempo così breve appare un obiettivo estremamente ambizioso. Verosimilmente, il settore dello scambio di merci sarà interessato da minori difficoltà rispetto a quello dei servizi a elevato valore ag-giunto, considerato il ruolo rivestito dalla City londinese in questo settore. Per gli europei, indipendentemente dalle difficoltà a giunge-re a una posizione comune su questo tema, il fatto che gran parte dei processi decisionali e di determinazione degli standard (come quelli generati dall’ecosistema o dal “soft power” del mondo della finanza, degli studi legali e delle società di consulenza) possa restare confinata al di fuori del territorio dell’Unione solleva seri interrogativi circa la sovranità di fatto, se non addirittura di diritto. Sul versante britannico, anche seTheresa May ha sorvolato sull’argomento, appare improbabile che il governo sia disposto a sacrificare gli interessi della “City” senza opporre resistenza. Si preannuncia dunque un complesso braccio di ferro tra le due parti.
Dopo l’attivazione dell’Articolo 50 del Trattato di Lisbona da parte del Regno Unito (il che, stando alle dichiarazioni di Theresa May, avverrà entro fine marzo), la palla passerà all’Unione europea che, a sua volta, sarà chiamata a formulare la propria posizione iniziale (un compito che non sarà certo agevolato dalla campagna elettorale in corso in Francia e Germania). A prescindere dall’avvio dei negoziati, dovremo comunque aspettarci che la questione della Brexit non venga risolta tout court, bensì sia oggetto di discussione ancora per qualche tempo.

Vuoi ricevere le notizie di Bluerating direttamente nella tua Inbox? Iscriviti alla nostra newsletter!

Tag: