Terremoto Mifid 2

Altro che tornante della storia. L’industria del private banking si trova ad affrontare, in contemporanea, tre cambiamenti epocali: i nuovi usi e costumi della clientela, l’espansione del ruolo della tecnologia e regole più severe a tutela dei consumatori. Queste ultime in particolare comporteranno, per tutti i player, l’obbligo di essere più chiari sul valore generato per i clienti e sui costi del servizio offerto. Insomma, bisognerà adeguarsi. Sul punto insistono gli autori della European Private Banking Survey 2015 pubblicata da McKinsey a settembre. Alla ricerca hanno preso parte società diverse tra loro per dimensioni e modelli di business: circa la metà sono unità di private banking di banche universali, un quarto sono unità di private banking di player stranieri e il restante quarto sono operatori indipendenti; il 70% opera onshore, mentre l’altro 30% è basato in centri offshore. I partecipanti hanno fornito dati economici dettagliati basati sui risultati 2014.
“Nel 2014, per il quinto anno consecutivo”, scrivono gli analisti, “il settore bancario private in Europa occidentale ha registrato una crescita nei profitti assoluti. Crescita trainata dalla performance del mercato dei capitali e dall’aumento della raccolta netta. Tuttavia, il margine di profitto del settore è stato più o meno piatto negli ultimi cinque anni, dal momento che i margini dei ricavi sono rimasti sotto pressione e gli sforzi per ridurre i costi non sono riusciti a farsi significativamente strada”.

I mutamenti in arrivo
Come se ciò non bastasse, spunta la complicazione: l’evoluzione parallela della clientela, della tecnologia e della normativa, che influenzerà in modo significativo il mercato e l’ambiente competitivo nel breve e nel medio termine. Le opportunità non mancano, considerando che “le previsioni di crescita degli asset finanziari degli hnw in Europa occidentale sono ancora attraenti, con un aumento annuale medio atteso del 3,9% fino al 2020”. Quindi, che fare? Gli analisti di McKinsey hanno le idee chiare: “le banche private dovranno agire in modo deciso su tre priorità fondamentali”.
La prima, spiegano gli analisti, consiste nell’intervenire “sulla proposta di valore e sui modelli di prezzo” alla luce della maggiore trasparenza sul “total cost of ownership” per il cliente supportata dalla nuova regolamentazione – Mifid 2, ma non solo – la quale richiederà piena visibilità su commissioni e oneri pagati all’intermediario finanziario e all’interno di strumenti finanziari. E anche se finora i clienti non si sono fatti sentire con forza sul punto, nel futuro prossimo la presa d’atto dell’entità dei costi probabilmente innescherà una reazione più vigorosa. Esempio: un addebito tra l’1 e l’1,5% per un cliente con 3 milioni di euro di asset si traduce in un costo a suo carico fra i 30mila e i 45mila euro. Questione che però ne apre un’altra: come far quadrare i conti? Non senza affanno, alcuni mercati, come i Paesi Bassi e il Regno Unito, hanno anticipato in parte il cambiamento impostando un nuovo modello di pricing per far fronte al divieto di retrocessioni – le quali, per inciso, hanno rappresentato il 13% del fatturato medio del settore nel 2014 – e rivedendo il “tariffario” della consulenza con l’obiettivo di contenere il calo dei ricavi e quindi degli utili.

Industrializzare l’offerta
La seconda priorità è “industrializzare” l’offerta e il modello di servizio. La trasparenza dei prezzi comporterà una pressione sui margini, per fronteggiare la quale bisognerà che le banche sviluppino servizi di consulenza più economici. Ciò richiederà un minore presidio di quelle aree di clientela caratterizzate dai patrimoni meno consistenti. Peraltro le banche, incoraggiate dai regolatori, si stanno già battendo per una maggiore standardizzazione al fine di minimizzare i rischi. Non solo: i clienti stessi si aspettano un certo standard di servizio, che è impossibile fornire se ogni professionista fa a modo suo. Una tale trasformazione, per gli esperti di McKinsey, non implica la fine della personalizzazione di prodotti e servizi, quanto piuttosto un metodo più professionale e disciplinato per gestire un numero crescente di clienti accomunati da caratteristiche come profilo di rischio o area geografica di appartenenza.
Terza priorità, fare leva sul digitale come fattore chiave per la trasformazione delle banche private, per poter affrontare le interazioni con la clientela seguendo un approccio più in linea con le aspettative e i comportamenti delle nuove generazioni.
Per apportare queste modifiche, le banche private dovranno introdurre cambiamenti significativi: per esempio, rispetto al ruolo del relationship manager, chiamato a portare ai clienti il meglio della banca e ad andare oltre il puro investimento.

Redditività a rischio

Ultimo punto, ma certo non meno importante. Con la pressione esercitata dalla clientela, dalla tecnologia e dalla regolamentazione, un certo numero di banche potrebbe non essere in grado di mantenere un adeguato livello di redditività. Sotto tale pressione, non stupisce che un player su sei abbia riportato una perdita nel 2014 – in linea con gli anni precedenti – mentre un terzo ha registrato flussi negativi. “Ci aspettiamo un’ulteriore ondata di tagli dei costi, che però dovranno includere una maggiore ottimizzazione a livello internazionale per le banche che operano in diverse aree geografiche. Ci attendiamo”, concludono gli analisti, “che il consolidamento del settore continui, come già osservato in alcuni Paesi dell’Europa occidentale”. Mai come ora, l’aggregazione fa la forza.

Maria Paolucci

Vuoi ricevere le notizie di Bluerating direttamente nella tua Inbox? Iscriviti alla nostra newsletter!