Consulenti, digitali ma non troppo

A cura di Massimo Arrighi, partner AT Kearney.

Potrebbe essere il prossimo capitolo della finanza, la “riscoperta del rischio”. L’inizio di una nuova fase di convivenza con il Covid-19 per la consulenza finanziaria andrà di pari passo con una nuova gestione dell’emotività del cliente. Se finora il termine più utilizzato era quello della “preoccupazione” per la discesa dei mercati finanziari, la Fase 2 apre a un nuovo concetto, quello della “riscoperta” da parte del cliente di un rischio che non credeva possibile, anche perché sinora il mondo finanziario sembrava sottostare a logiche interpretabili. Questa volta, a minare gli equilibri del sistema è un evento che non ha nulla a che vedere con i mercati. Oggi siamo di fronte a un fenomeno straordinario ed esogeno che ha impattato in modo drammatico e inaspettato sulle economie reali e sui mercati finanziari di tutto il mondo. Guardando alla ripartenza, la bussola degli investimenti potrebbe quindi puntare almeno in parte nuovamente su beni rifugio come l’oro. A fronte di questa ripresa sarà necessario tuttavia per il consulente attrezzarsi con offerte finanziarie efficaci ed efficienti. In Svizzera, per esempio, fra le modalità con cui è possibile scegliere di investire nell’oro finanziario ci sono i cosiddetti certificati di oro fisico. Veri e propri strumenti finanziari da inserire nel portafoglio e che rilasciano un certificato di proprietà di una determinata quantità di oro, custodita però fisicamente nei caveau delle banche. L’oro però è solo un esempio di come ancora più di prima ci sarà bisogno di una consulenza competente e preparata per guidare i clienti. Va da sé che la dimostrazione del valore aggiunto della consulenza avrà un peso di tutto rilievo anche per sostenere i costi del servizio offerto, discussione aperta ben prima del Coronavirus.

TECNOLOGIA IN PRIMO PIANO
“La crisi porta progresso” e forse da una situazione di difficoltà, per chi sarà in grado di affrontarla, si aprirà un’opportunità per il consulente, la riscoperta della sua essenzialità. E come se questo non fosse abbastanza, tornerà in primo piano il ruolo della tecnologia a supporto del consulente per rimanere una figura competitiva sul mercato. Le modalità di interazione fisica con il cliente ai tempi del Coronavirus hanno subito una battuta d’arresto ma è plausibile pensare che la conseguenza di questo comportamento si ripercuoterà per un tempo ancora abbastanza lungo con potenziali limitazioni di contatto fisico. Si riparte quindi da nuove modalità comunicative anche se per i più importanti player del risparmio non si tratta di una vera novità. Già prima del lockdown, molti operatori del settore avevano messo a disposizione della propria rete strumenti per interagire anche da remoto e in digitale con i propri clienti e chi non lo aveva fatto ha poi intrapreso rapidamente questa strada. È inevitabile che una volta scoperti i vantaggi e la facilità di interazione anche con questi strumenti, la “consulenza da smartphone” diventerà parte del bagaglio professionale di ogni bravo consulente. Tutto ciò però si tradurrà, da un lato, nella necessità del consulente di essere in grado di utilizzare nuovi strumenti, questione non scontata considerando anche la loro distribuzione per fasce di età. Dall’altro, nella capacità del consulente di adattarsi alle diverse esigenze del cliente. Anche qui il fattore tecnologico e la dimestichezza con i nuovi strumenti avranno un peso diverso a seconda dei segmenti di clientela e quindi delle differenti fasce d’età. Anzi, chissà che non sia l’occasione giusta per agevolare il rinnovo generazionale. Ma attenzione alla doppia faccia della medaglia. Spesso il primo pensiero, quando si parla di strumenti digitali, va alla tutela della privacy. Il tema della protezione dei dati in questo ambito per fortuna non rappresenta un problema infatti la consulenza con il supporto digitale al tempo del Covid-19 si muove su una prima fase di analisi e commenti, condivisibili con il cliente su piattaforme di interazione generali di uso comune, ma la parte successiva di execution degli interventi concordati con il cliente, quella più sensibile, continua all’interno di una procedura protetta e sicura, tramite l’app o il sito della banca. Se non si tratta della privacy, a mettere in discussione un modello only digital è invece la scarsa disponibilità dei clienti a favorire soluzioni unicamente online.

DIFFIDENZA PER L’ONLINE
Secondo una ricerca svolta da Kearney insieme a Swg, se da un lato il 60% degli italiani considera il passaggio a servizi finanziari sempre più digitali come un’evoluzione necessaria, restano però problemi se parliamo di un modello totalmente digitalizzato, perché la relazione umana rimane un principio inderogabile. Lo si vede se parliamo di acquisto di servizi o prodotti finanziari online, un italiano su tre non si fida e la percentuale cresce all’aumentare dell’età. L’esigenza di un rapporto personalizzato è evidente per la sottoscrizione di prestiti e soprattutto per gli investimenti, solo il 15% degli italiani si dice disposto ad acquistarli totalmente online. E anche per l’acquisto dei titoli azionari (15,9%) e prodotti del risparmio (13,1%) la percentuale è piuttosto ridotta. La vera sfida sarà quindi nella capacità di costruire il giusto mix tra la componente digitale e fisica, una formula di interazione ibrida che sia in grado di offrire una consulenza ancor più personalizzata, tenendo anche conto delle esigenze e del grado di preparazione digitale dei diversi segmenti.

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