Consulenti, quando il cliente vi vuole lasciare

A cura di Maria Anna Pinturo, consulente presso Credem con la qualifica di Wealth Planner e fondatrice del blog diversamentefinanza.com. 

Photo credit Chico De Luigi

Ricordo con piacere questo film in cui la favolosa sposa fugge sempre nel momento in cui il pretendente vorrebbe concludere portandola all’altare… ma ogni volta si ripete lo stesso evento: il promesso sposo è costretto a inseguire la sua “preda” mancata.

Ebbene, con il cliente che potrebbe scegliere di  “fuggire” dal rapporto con il suo consulente finanziario, questi dovrebbe dimostrare proprio in quei momenti che la “mossa giusta” non è affatto inseguirlo ma lasciarlo libero di ascoltare le ragioni per cui varrebbe la pena perseverare in quel rapporto di consulenza dandogli modo di ripensarci, anche nel tempo.

Vediamo cosa succede invece quando il cliente comunica la sua decisione di interrompere il rapporto con il  consulente.

Facciamo innanzitutto una doverosa premessa: il motivo di questa scelta non è quasi mai il consulente in sé, ma un fenomeno che sovrasta entrambi, consulente e cliente e, guardando gli ultimi fatti, la realtà intera, se pensiamo a quanto il riesplodere della pandemia abbia avuto veramente poco a che fare con la valorizzazione degli indici cui abbiamo assistito in questi ultimi giorni di campagna elettorale USA. Questo fenomeno è la Borsa. Come dire che, finanziariamente parlando, il cliente scappa attribuendo al consulente la causa del suo disamore, quando invece il vero motivo è che la Borsa non ha confermato le previsioni, anzi le “ipotesi” suggerite dal piano proposto dal consulente.

Ora il punto su cui vorrei soffermarmi in questa sede non è se sia accettabile o meno il vero motivo (tema di cui ho già discusso in altro articolo, Prova a com-prendermi), ma è la reazione da parte del consulente di fronte a questo “tradimento” se così vogliamo identificarlo: un autentico “inseguimento” o “corteggiamento” del cliente, a colpi di offerte incredibili atte a censurare il suo malessere e a consolarlo con edulcoranti di cui lui stesso si ricorderà come quegli illusori stupefacenti somministrati per fargli passare il cattivo ricordo dei mancati risultati. È questo un errore di comportamento grossolano, che si paga a caro prezzo. Perché il cliente è una persona come tutte le altre, alla quale occorre motivare ancora di più le ragioni del piano condiviso sin dall’inizio e apparentemente non efficace nel momento del disaccordo, anziché spostare la sua attenzione su immagini più attraenti e consolatorie. Diversamente, la memoria del cliente tornerà sempre su quel momento critico in cui il consulente che avrebbe dovuto dargli le spiegazioni opportune e lo ha invece voluto confondere con “altro”. E se poi il cliente deciderà di “chiudere un occhio”, accettando il premio di consolazione, questo modus operandi diventerà l’unica sua aspettativa, in attesa di ricevere altre sollecitazioni da consulenti più professionali capaci di offrire una consulenza più motivata e consapevole. E a quel punto la separazione sarà definitiva.

Pensiamoci: non vi è forse stato mai un periodo più suggestivo di quello che stiamo vivendo per fare un passo avanti, autentico e importante, verso la vera consulenza finanziaria. In un momento come questo, in cui le ragioni dei piani finanziari devono essere ancora più forti e i clienti hanno tutti i motivi per chiedere le opportune spiegazioni se i piani (apparentemente) non quadrano, piuttosto che agire con reazioni dettate dal proprio orgoglio ferito per un possibile fallimento nel rapporto con il cliente, occorre fare l’esperienza della profondità della consulenza finanziaria, quella che la differenza veramente dalla “vendita di prodotti”.

Mi viene in mente un episodio di questi giorni, prima che le elezioni americane sconvolgessero il panorama dettando nuovi, impensabili rimbalzi. Mi telefona un cliente: «Le avevo detto che questa volta avremmo dovuto fare la scelta di vendere tutto, ricordando i fatti del dopo lockdown, per evitare di patire le medesime sofferenze» (salvo poi notare che dietro di esse vi era già la cura, arrivata nell’immediatezza successiva). È questo «le avevo detto» sempre un campanello di allarme che occorre ascoltare, mettendosi in discussione per dare la risposta non più semplice ma quella più aderente al piano che si è messo in atto con il cliente. Ebbene, come ho risposto io al cliente? Diversamente da marzo, perché effettivamente siamo in un contesto “diverso” da marzo. E, soprattutto, chiedendo a lui di rimanere in ascolto degli eventi dei giorni successivi. Insomma: no a risposte pronte, sì alla sollecitazione a fare memoria delle ipotesi di successo di piani che non possono non tenere conto di tutti i fattori della realtà, già accaduta e in progressivo aggiornamento.

Possiamo dire allora che il consulente non deve inseguire il cliente se questi cerca motivi per andarsene, ma deve dare le ragioni del suo modo di seguirlo, esortandolo a una verifica nel medio-lungo termine non solo del piano impostato ma anche e soprattutto dei “fatti” che possono condizionare diversamente in alcuni momenti rispetto ad altri, gli esiti di portafoglio. Se non è per questo approfondimento della consulenza finanziaria, perché avrebbero cambiato il nome di questa bellissima professione mutandola da Promotore a Consulente Finanziario?

Alla prossima!

 

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