Investimenti, inflazione: target del 2% irragiungibile nel 2024

“Nella seconda metà del 2023 l’inflazione è scesa rapidamente, ma è decisamente troppo presto per puntare su una disinflazione senza intoppi verso l’obiettivo del 2% fissato dalle banche centrali. Sebbene non vi siano più shock di approvvigionamento legati alla pandemia, le tensioni geopolitiche, il protezionismo e le misure fiscali in corso continuano a esercitare una pressione inflazionistica”. Questa l’analisi di Michael Blümke, portfolio manager di Ethenea Independent Investors, che di seguito illustra nei particolari la view.
Anche se i dati più recenti dagli Stati Uniti indicano una crescita più debole e un calo dell’inflazione per via della politica monetaria restrittiva, non vi sono segnali di un’imminente recessione. La tendenza disinflazionistica è proseguita: l’inflazione complessiva è scesa al 3,1%, grazie al calo dei prezzi dell’energia, ma l’inflazione di fondo è rimasta al 4%, a causa della continua pressione sui prezzi nei settori dei servizi e degli affitti. Il rallentamento dell’inflazione è uno sviluppo positivo, ma riteniamo improbabile un rapido ritorno all’obiettivo del 2%, alla luce della solidità del mercato del lavoro, della resistenza dei consumatori e della politica fiscale espansiva dovuta all’anno elettorale.
A dicembre, la Fed ha lasciato invariata la sua politica monetaria, ma ha sorpreso i mercati con toni accomodanti e ha persino annunciato di aver iniziato a discutere di tagli dei tassi. In vista delle prossime elezioni presidenziali statunitensi, sospettiamo che, nel valutare se combattere l’inflazione o evitare una recessione, i banchieri centrali abbiano scelto la seconda opzione. Con le attuali proiezioni di crescita e i tre tagli dei tassi previsti, a fronte dei sei attesi dal mercato nel 2024, l’inflazione non raggiungerà sicuramente il 2%.
La crescita dell’Eurozona è rimasta deludente nel quarto trimestre 2023, nonostante un leggero miglioramento a novembre. A dicembre, l’attività economica del settore privato si è contratta per il settimo mese consecutivo, facendo aumentare il rischio di una recessione tecnica nella seconda metà dell’anno. La debolezza della domanda globale si ripercuote sull’intera Eurozona e la produzione industriale è scesa ai minimi dal 2020.

Più che un crollo economico, i dati segnalano un ristagno dell’economia

La crescita continuerà a rallentare e rimarrà debole anche nella prima metà del 2024. A novembre, la pressione sui prezzi è scesa al 2,4% su base annua, ma nel settore dei servizi è rimasta elevata, al 4%. L’inflazione di fondo è passata dal 4,2% al 3,6% su base annua. Dato che questo valore è ancora nettamente superiore all’obiettivo e che gli indici PMI continuano a segnalare un aumento della pressione sui costi e della crescita dei salari nell’intera Eurozona, il processo di disinflazione può dirsi tutt’altro che concluso. Il ciclo di rialzo dei tassi della Bce è terminato. Tuttavia, la Presidente dell’istituto ha sottolineato che, a differenza della Fed, la Bce non è ancora pronta a discutere di tagli dei tassi. Anche in questo caso, il mercato è molto più ottimista riguardo ai futuri tagli dei tassi, scontandone fino a sei.

Per le autorità europee la posta in gioco è alta

Abbassare i tassi troppo presto in un contesto di inflazione persistente e stimoli fiscali costanti sarebbe un errore, mentre mantenere la politica restrittiva troppo a lungo potrebbe causare una recessione economica ancora più grave. Di fatto, la fase finale del percorso verso l’obiettivo del 2% d’inflazione sarà la più complessa e potrebbe richiedere ulteriori sofferenze economiche.

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