Investitori già in apprensione in vista delle elezioni Usa

A nove mesi dalle elezioni Usa, rileviamo già un senso di stanchezza e timore tra gli elettori e soprattutto gli investitori. Infatti, secondo un recente sondaggio del Pew Research, circa l’85% degli americani ritiene che il tono e la natura del dibattito politico nel Paese siano diventati negativi e meno rispettosi, lasciando gli elettori preoccupati, confusi, imbarazzati, esausti e spaventati, tra le altre cose.

A complicare ulteriormente la situazione il quasi quotidiano diluvio di oscurità dispensato dai media, tra cui: “Elezione di Armageddon” (The Economist), “Il pericolo avanti” (The Atlantic) o “La vera minaccia per la democrazia americana,” (The New York Times). Aggiungete l’ansia per la disinformazione sui social media, l’ubiquità dell’IA e le imminenti campagne presidenziali amare e polarizzanti e l’attuale clima apocalittico sembra molto simile al 1999.

Ricordate la paura dell’Armageddon durata un anno dovuta al cambio del secolo, una paura alimentata da preoccupazioni che il codice informatico progettato per due cifre avrebbe interpretato erroneamente l’anno 2000 come 1900, scatenando un effetto domino di computer. L’angoscia del cambio di millennio potrebbe sembrare sciocca ora, ma all’epoca molte persone accumulavano cibo, acqua, contanti e armi in previsione di un crollo globale. Il mondo ha trascorso la maggior parte dell’anno sperando nel meglio ma preparandosi al peggio. Secondo una stima (International Data Corporation), le spese per la preparazione del cambio del millennio hanno comportato un costo di oltre 300 miliardi di dollari all’economia globale. Non molto in termini di PIL globale, ma comunque una somma significativa.

Oggi vediamo paralleli con il 1999. In previsione del voto di novembre, vediamo un mondo che riconsidera gli accordi di sicurezza con gli Stati Uniti e aumenta le spese per la difesa, sentiamo parlare di imprese che rivedono e riesaminano le loro catene di approvvigionamento globali date le dinamiche commerciali incerte e, più vicino a casa, vediamo gli investitori che rivalutano la loro tolleranza al rischio nei loro portafogli.

Esaminando a mente fredda (per quanto si possa fare) ciascuno di questi fattori e prendiamo innanzitutto in considerazione la sicurezza. La paura più grande del mondo è che il principale agente di polizia mondiale, gli Stati Uniti, stia per disimpegnarsi e abbandonare il suo ruolo, creando ancora più disordine in un mondo già caotico. Qualsiasi politica che minacci l’assistenza degli Stati Uniti all’Ucraina, metta in pericolo lo smembramento della NATO e metta in discussione l’impegno dell’America verso Taiwan preannuncia un aumento delle spese globali per la difesa.

Comunque, dati gli attuali focolai geopolitici, le spese globali per la difesa sono già in un trend secolare al rialzo e potrebbero ricevere un ulteriore impulso verso l’alto. Secondo le ultime cifre dell’International Institute for Strategic Studies, le spese globali per la difesa sono aumentate del 9% l’anno scorso, raggiungendo un record di 2,2 trilioni di dollari, guidate dagli Stati Uniti e dagli altri membri della NATO. Dieci nazioni europee hanno raggiunto l’obiettivo dichiarato di spendere il 2% del loro PIL per la difesa, rispetto alle otto dell’anno precedente.

Un’eccezione chiave rimane la Germania, le cui spese per la difesa rimangono al di sotto del target del 2% del PIL. Il succo del discorso è che in vista delle elezioni negli Stati Uniti, il mondo si sta preparando a un’America più disimpegnata, sperando nel meglio ma preparandosi al peggio, aumentando le proprie spese per la difesa e cercando alternative agli accordi di sicurezza non statunitensi.

Per quanto riguarda il commercio, il mondo continua a preoccuparsi dell’impegno dell’America verso il commercio libero e aperto e delle conseguenze di un mercato statunitense più limitato alla competizione straniera. Queste preoccupazioni rimarranno valide sia che i Repubblicani che i Democratici controllino la Casa Bianca, dato il crescente sostegno bipartisan per un “America first“.

Un’amministrazione Trump o Biden probabilmente sarebbe dura con la Cina, limiterebbe gli afflussi e le uscite di investimenti diretti esteri degli Stati Uniti e incoraggerebbe le aziende statunitensi a “riportare” la produzione negli Stati Uniti. Tutte le suddette politiche potrebbero essere buone per la politica interna, ma renderebbero le entrate aziendali scarse a causa dei costi più elevati, dei margini ridotti e delle ridondanze inefficienti. Il risultato: le aziende statunitensi e i loro omologhi globali si stanno preparando a un maggiore protezionismo statunitense e a un mondo più frammentato e deglobalizzato.

La politica e le conseguenze delle elezioni di novembre che muovono il mercato sono rapidamente diventate le principali preoccupazioni degli investitori. Come influenzeranno l’economia e i mercati l’esito delle elezioni negli Stati Uniti è la domanda più frequente tra gli investitori, e con buone ragioni. C’è molto in gioco nel decidere chi vincerà la Casa Bianca e la composizione del Congresso.

Che fare quindi?

Riteniamo che occorra:

  • Non farsi ingannare dalla falsa narrazione sia dei media che dei principali partiti politici che il paese sta andando a rotoli. Nulla potrebbe essere più lontano dalla verità. L’economia degli Stati Uniti rimane una delle più dinamiche e resilienti al mondo.
  • I profitti hanno sempre prevalso sulla politica. La politica è importante per i mercati, ma il principale driver di rendimento a lungo termine risiede nei profitti delle aziende. Questi ultimi sono in una fase ciclica di crescita.
  • Ricordare che mentre gli anni elettorali sono frequentemente associati a maggiore volatilità di mercato, i rendimenti degli azionari statunitensi negli anni elettorali (7,5% in media dal 1928) non sono poi così diversi dai rendimenti negli anni non elettorali (8%).
  • In mezzo al vortice di incertezza, rimanere nel mercato, non cercare di temporizzare il mercato o fare mosse importanti oggi in previsione di cambiare direzione domani;
    diversificare su tutte le classi di attività e dare priorità ed enfasi alla qualità nei portafogli. Oltre a sfruttare le flessioni di mercato o le debolezze a breve termine dovute a venti politici o economici.
  • Assicurarsi flussi di reddito stabili attraverso obbligazioni e dividendi;
    i grandi temi macro strutturali odierni sono più importanti e più significativi per i rendimenti del portafoglio rispetto al ciclo elettorale.
  • Meglio adottare una prospettiva a lungo termine: guarda alla foresta prima degli alberi. Episodi di instabilità e vendite di mercato non sono rari e sono stati seguiti da decenni di crescenti rendimenti di mercato.

Se rivolgiamo indietro lo sguardo al 1999, il mondo tratteneva il fiato entrando nel XXI secolo. Ma non è successo nulla. Le luci sono rimaste accese. Gli aerei hanno volato in sicurezza. Gli sportelli bancomat non sono impazziti. I computer hanno continuato a funzionare. La vita è proseguita. Lo stesso vale per oggi: la vita continuerà dopo il voto di novembre. Qualsiasi sia l’esito, i prezzi degli asset si ripristineranno, le aziende si adatteranno, il mondo si adeguerà e continuerà.

A cura di Antonio Tognoli, responsabile macro analisi e comunicazione di Cfo Sim

 

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