Paschetta (Pictet): “Perché conviene investire con un Pac”

Il Covid-19 genera panico anche sui mercati. Il crollo violento e concentrato di tutti i listini azionari nelle ultime due settimane è la testimonianza più evidente di questo sentimento e del conseguente panic selling. Un errore tipico che può essere superato se si adotta la strategia di investimento propria dei piani di accumulo, ovvero una modalità di accesso al mercato graduale, che si basa su sottoscrizioni periodiche di importi modulati sul profilo di rischio del cliente. Un approccio che aiuta a mettere da parte le emozioni e abbatte la volatilità limitando le perdite nelle fasi Orso, ma riuscendo a intercettare praticamente per intero i rialzi (di cui, invece, nel lungo periodo, l’investitore medio perde una metà).

 

La crisi pandemica e il panic selling

La crisi che abbiamo iniziato ad attraversare è senza precedenti nell’era contemporanea. A differenza della maggior parte delle altre crisi degli ultimi 20 anni, non deriva da una crepa nel sistema economico o finanziario, ma è scaturita da un fattore totalmente esogeno, una gravissima emergenza sanitaria globale. Un’emergenza che ha reso necessaria l’adozione di rigide misure di distanziamento sociale volte a contenere la diffusione del Covid-19, ma che hanno l’effetto collaterale di bloccare in gran parte produzione e consumi, creando uno shock sincrono di domanda e offerta. A cui si è aggiunto, a causa del mancato accordo tra i Paesi membri dell’OPEC+, anche uno shock del petrolio, che ha contribuito a dipingere i contorni di uno scenario particolarmente complesso da decifrare. Il livello di incertezza che caratterizza la crisi attuale resta dunque elevatissimo, comportando letteralmente un’esplosione nella volatilità dei mercati: il Vix ha toccato il livello massimo dal “lunedì nero” del 1987 e i premi al rischio sono esplosi. D’altronde è ancora scarsa la visibilità sulla velocità con cui si diffonde il virus e sulla sua mortalità. È anche difficile prevedere per quanto tempo si prolungheranno le misure di contenimento necessarie ad affrontare l’emergenza sanitaria. Al momento i mercati stanno scontando un impatto del -3,5% sul PIL globale per il 2020, coerente con lo scenario intermedio stimato dalla World Bank (in uno studio del 2006 sulle Pandemie) e simile alle ultime stime degli economisti di Pictet AM. Le attese sono inoltre di un calo degli utili aziendali prossimo al 30%. In un contesto come quello descritto il panic selling è purtroppo la norma. È fuga dagli attivi percepiti come rischiosi perché gli investitori stanno rispondendo al più comune tra i bias cognitivi della finanza comportamentale, ovvero l’avversione alla perdita: la motivazione a evitare una perdita è due volte più potente della motivazione a realizzare un guadagno secondo la teoria dei premi Nobel Daniel Kahneman e Amos Tversky. Questo bias cognitivo impedisce, da un lato, di vedere gli attuali ribassi come opportunità di ingresso e, dall’altro, fa scappare quelli che sono già investiti, di fatto, escludendoli dai potenziali rialzi successivi (molto probabili) e, dunque, da occasioni di guadagno anche importanti.

 

Il decennio del rally perso

L’ultimo decennio d’altronde, quello del ciclo più lungo della storia, è stato caratterizzato da performance eccezionali di tutte le asset class: l’equity ha segnato tra il 100 e il 200% e l’obbligazionario tra il 50 e il 100%. Ma è stato anche il meno amato di sempre: prova ne sia il 2019, anno in cui un portafoglio bilanciato avrebbe reso di più che in qualsiasi altro anno dal 1980 e in cui, mentre i mercati azionari hanno restituito un rendimento tra il 25 e il 30%, i fondi azionari in Italia hanno segnato una raccolta negativa per oltre 2,4 miliardi Globalmente, i deflussi dai fondi azionari nel 2019 ammontavano a circa 200 miliardi di dollari. La ragione di questa prudenza è da rintracciare nell’andamento dei mercati finanziari nell’ultima parte del 2018 che ha visto quasi tutte le asset class chiudere con il segno negativo e, di conseguenza, tutti gli investitori con qualsiasi profilo di rischio perdere. Questo ha innescato una vera e propria fuga tra la fine del 2018 e il primo trimestre del 2019: gli investitori hanno venduto sui minimi, di fatto lasciando sul terreno tutta la grande performance degli altri tre trimestri dello scorso anno. L’emotività, d’altronde, è un elemento dirompente nel muovere le scelte degli investimenti, ma altrettanto in grado di distruggere valore.

Quanto costa il panico generato dalle crisi

Diversi studi misurano i costi del panico. Un’analisi della rivista Advisors Perspective calcola, per esempio, che oltre il 70% delle perdite accumulate dagli investitori dell’S&P 500 negli ultimi 35 anni dipendano da dieci periodi di crolli molto brevi (limitati a un mese) recuperati nell’85% dei casi in tre mesi e nel 93% entro un anno. Che sia stato il panico a generare le perdite lo dimostra il tasso di deflussi che nei periodi di crisi passa dal 2,7% mensile al 5,16% sul principale listino americano. I dati storici confermano che gli investitori che non sono usciti dal listino nel corso dell’anno successivo, ne hanno beneficiato (in nove casi su dieci, l’eccezione è il crollo delle Twin Towers nel settembre 2001 in cui il mercato ha necessitato di più tempo per ritornare ai valori pre-crisi).

 

La società di wealth management Usa Ifa, rileva che il panic selling successivo alle altre epidemie recenti (epidemie limitate geograficamente, non pandemie) è costato caro agli investitori in fuga. I calcoli riguardano sempre l’S&P 500: alla Sars, esplosa nell’aprile del 2003, l’indice ha risposto, in sei mesi, con una performance del 15,53% (e del 22,66% in un anno); l’influenza suina dell’aprile 2009 ha visto il mercato salire del 20% in sei mesi e di quasi il 39% in un anno. Scappare dal mercato nel momento peggiore della crisi non solo fa incassare una perdita certa, ma impedisce di approfittare del rimbalzo successivo. E questo vale per tutte le crisi, non solo per quelle sanitarie: anche per quella relativa all’11 settembre 2001, chi dopo un anno risultava in perdita del 20% a tre anni mostrava un rendimento annualizzato del 4% circa e a 5 anni di quasi il 7%. Lo stesso si può dire per il post fallimento di Lehman: anche in questo caso il risultato a un anno era negativo per il 6,6%, ma quello annualizzato dopo cinque anni, superiore al 10%.

 

Il market timing? Non funziona

Una ricerca di marzo 2020 realizzata della società di ricerca indipendente Dalbar dal titolo “Quantitative Analysis of Investor Behavior” rileva che un investitore azionario medio Usa abbia perso, negli ultimi trent’anni, circa la metà del guadagno potenziale. A fronte di un rendimento annualizzato dell’S&P 500 del 9,96% Dalbar stima che in media l’investitore abbia incassato poco più del 5%. I rendimenti sui mercati si fanno in pochi giorni e per la stragrande maggioranza degli investitori è davvero molto difficile intercettarli. Entrare e uscire dai mercati (fare market timing) aumenta dunque soltanto le probabilità di perdersi i giorni migliori: un investitore che avesse perso i due giorni migliori ogni anno, in un periodo di venti anni, sarebbe passato da un rendimento annualizzato positivo di oltre il 6% a uno negativo per quasi il 4%.

 

Superare l’emotività con i Pac

Soprattutto in un contesto di elevata volatilità come quello attuale, la tempistica con cui si effettua un investimento può avere un impatto significativo sui risultati conseguiti, come ci insegna il passato. Spalmare il proprio investimento nel tempo riduce il rischio di incappare in un punto di ingresso sfavorevole. A tal proposito, i benefici di un PAC rispetto a un investimento in un’unica soluzione (PIC) sono maggiori per i piani partiti durante fasi di correzione dei mercati. Ipotizzando, per esempio, un PAC partito il primo gennaio del 2008, alla vigilia del fallimento di Lehman Brothers, questo avrebbe permesso di limitare le perdite dovute al calo subito dai mercati nel corso dell’anno, senza rinunciare a beneficiare del successivo rimbalzo delle Borse (la simulazione è stata effettuata prendendo come oggetto dell’investimento l’indice MSCI World).

 

All’interno della gamma di offerta di Pictet AM, i fondi più adatti a formule di investimento graduale come i Pac sono sicuramente i fondi azionari tematici, di cui Pictet è stata pioniera. Si tratta di strategie azionarie che puntano sui quei megatrend di lungo periodo in grado di stravolgere drasticamente le nostre abitudini di vita quotidiane e, perciò, in gran parte indipendenti dall’andamento del ciclo economico. In quanto soluzioni tipicamente orientate alla crescita nel lungo termine, i fondi azionari tematici sono particolarmente indicati per piani di investimento progressivo. Pictet AM ha, perciò, condotto alcune simulazioni su Pac applicati ai suoi principali fondi tematici. Ebbene, un investimento sul Pictet-Security (nella classe retail in euro) strutturato come quello illustrato in precedenza avrebbe non solo permesso di limitare le perdite iniziali grazie all’ingresso graduale effettuato tramite il Pac, ma avrebbe anche consentito della maggiore crescita offerta dall’approccio tematico rispetto al resto dei mercati azionari.

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