Cosa dovrebbero pensare della Brexit gli investitori comportamentali?

A cura di Stuart Cannings, M&G Investments
Ovunque, fra Europa e Regno Unito, i gestori di fondi sono chiamati a esprimere un’opinione sulla Brexit. Molti rispondono semplicemente che non fanno previsioni. I più ambiziosi magari aggiungono che i mercati non amano l’incertezza e quindi la volatilità potrebbe creare delle occasioni.
È umanamente comprensibile che ci sembrino i soliti luoghi comuni profondamente insoddisfacenti: vorremmo credere che qualcuno là fuori sappia la risposta. Ma che altro c’è da dire? Da investitori comportamentali, in che modo possiamo affrontare argomenti come la Brexit?
Cosa stiamo cercando? Non riteniamo di saperne di più, rispetto alla saggezza collettiva del mercato, per poter fare previsioni sul futuro dei fondamentali.
Chi dice di avere un vantaggio sugli altri, in termini di informazioni utili per interpretare il tema Brexit, si propone come depositario della volontà della popolazione britannica e conoscitore profondo delle complessità giuridiche dell’UE, in possesso di una sua verità su come si svilupperanno le trattative fra i gruppi politici. In sostanza, sta affermando di avere tutto questo e, in più, una sensazione intuitiva del modo in cui reagiranno i prezzi degli asset, che tiene conto anche di tutti gli altri eventi in corso nel mondo.
A nostro avviso, è praticamente impossibile. Al contrario, l’approccio episodico cerca di individuare le situazioni in cui i mercati potrebbero mostrare segnali di influenze comportamentali, ad esempio il timore di ciò che potrebbe accadere nel breve termine, l’estrapolazione del passato, un’eccessiva fiducia nelle convinzioni riferite al futuro e altri elementi simili. Come si presentano oggi i mercati del Regno Unito?
Ci sono segnali di panico? A dispetto dei titoli di giornale, il comportamento dei mercati azionari e dei gilt non ha mostrato segnali estremi di panico. I gilt si sono comportati in linea con i titoli governativi di altri Paesi sviluppati:
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I mercati azionari finora sono apparsi in difficoltà quest’anno, ma non più degli altri nel resto del mondo.
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È interessante notare che la tesi pessimistica sulla Brexit ruota soprattutto intorno alle conseguenze dannose per la crescita del Regno Unito e per la sterlina. Eppure vediamo che l’indice FTSE Small Cap, che è più strettamente collegato all’economia britannica, ha sovraperformato il FTSE 100, un indice globale i cui utili provengono per circa il 70% dall’estero (e quindi potenziale beneficiario di una sterlina più debole). A ciò si aggiunge che le valutazioni sono tuttora ragionevoli. Non sembra che i timori per la Brexit stiano esercitando una grossa influenza.
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Fiducia eccessiva, narrazioni incongruenti ed estrapolazione
Un’area in cui potremmo vedere emergere un’opportunità di natura episodica è quella valutaria. Per quanto sia notoriamente difficile prevedere i tassi di cambio, oggi sembra opinione quasi unanime che la Brexit comporterebbe un crollo della sterlina.
L’aspetto interessante non è tanto il merito della teoria (anche se esistono argomentazioni valide sia a sostegno di un apprezzamento che di una svalutazione), ma il fatto che la convinzione della gente al riguardo si sia rafforzata in assenza di qualsiasi cambiamento nei dati concreti. Anzi, sembra che questa opinione si sia diffusa soprattutto perché la sterlina ha già cominciato a perdere terreno.
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È facile addebitare la debolezza alla Brexit, anche se di certo non c’è alcuna indicazione che l’uscita del Regno Unito dall’UE sia diventata più o meno probabile.
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La giustificazione comunemente accettata è che a provocare il deprezzamento della valuta sia il solo fatto che il referendum si sta avvicinando. Se davvero è questa la ragione, indubbiamente sarebbe indicativa del tipo di visione a breve termine che può creare opportunità di investimento. Analogamente, la tesi riguardo alla debolezza della sterlina che ha trovato più riscontro sulla stampa, ossia che l’incertezza sull’esito del voto provocherebbe un’interruzione dei flussi di capitale, implica che gli investitori non stanno facendo valutazioni in un’ottica di lungo termine.
Se le storie che gli investitori si raccontano per spiegare il mondo a un certo punto cambiano, spesso dipende da una svolta sul piano emotivo, più che su quello dei fondamentali. Solo pochi mesi fa, l’unico fattore indicato da tutti come responsabile dei movimenti valutari fra sterlina, dollaro USA ed euro era il differenziale fra i tassi d’interesse, insieme alla politica monetaria. Il saldo delle partite correnti del Regno Unito veniva largamente ignorato. Con i salari britannici che continuano a mostrare segnali di crescita incoraggianti e l’Eurozona apparentemente più orientata ad allentare che non a contrarre la politica monetaria, una scommessa a senso unico su questo fronte potrebbe essere rischiosa.
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Come tutti sappiamo, anche se talvolta ce ne dimentichiamo, un tasso di cambio coinvolge due elementi variabili. Concentrarsi su un unico fattore che influenza un solo elemento del cambio sarebbe senz’altro indicativo di un eccesso di sicurezza.
La Brexit è un rischio noto, ma con conseguenze ignote. Al momento non si vedono segnali chiari del fatto che i movimenti di mercato siano dettati da influenze comportamentali in risposta a questo fattore, anche se il tentativo di ingabbiare in una teoria quelli che possono essere movimenti profondamente caotici sui mercati valutari sembra suggerire che ci sia spazio per l’affermazione di un comportamento episodico.
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In ultima analisi, cercare di prevedere il futuro può essere molto rischioso, ma è possibile che la volatilità crei delle opportunità.

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