Mercati, dopo la Fed oggi è il turno della Bce: le previsioni per i prossimi meeting

Oggi è la giornata della BCE, dove la stessa è attesa aumentare i tassi di 25 punti base, portando il tasso di riferimento al 3,75% (il più alto dal maggio 2001).

Da più parti i governi (con l’eccezione della Germania) si sono schierati contro uno o due ulteriori aumenti dei tassi di interesse che aprirebbero la porta a una recessione più profonda e lunga di quella attuale e potrebbero portare tra le altre cose, più problemi che benefici al sistema bancario.

La BCE pur essendo conscia dei rischi che ulteriori aumenti dei tassi comportano per la stabilità finanziaria e per l’intera economia, non credo che diventerà meno falco. Tanto è vero che nell’ultimo “Financial Stability Review” di maggio, la BCE afferma che la vulnerabilità della stabilità finanziaria dell’area dell’euro rimane elevata nel contesto di inattese tensioni nei settori bancari di alcune economie mature.

I recenti fallimenti di alcune banche regionali statunitensi e i problemi di una banca svizzera (poi acquisita) hanno sollecitato un esame più attento dell’esposizione delle banche dell’Europa ai titoli a reddito fisso a lungo termine, della stabilità della raccolta di depositi non assicurati e delle sfide latenti del modello di business. Sebbene la causa immediata dello stress bancario fosse legata alla fragilità idiosincratica delle banche nelle economie non appartenenti all’area dell’euro, l’episodio ha suscitato preoccupazioni più generali sulla resilienza delle banche in un contesto di tassi di interesse più elevati.

Ciò ha provocato tensioni nei mercati azionari e di finanziamento delle banche nell’area dell’euro. Queste tensioni sono state di breve durata, poiché i fondamentali delle banche dell’area dell’euro rimangono solidi e il pronto intervento normativo ha contenuto le ricadute da altre economie. Tuttavia, è possibile che questi eventi portino a rivalutare le prospettive di redditività e liquidità delle banche dell’area dell’euro.

Nonostante i miglioramenti registrati all’inizio dell’anno, le deboli prospettive macrofinanziarie continuano a rappresentare una sfida per i settori finanziari e non finanziari. Le condizioni macrofinanziarie sono leggermente migliorate negli ultimi sei mesi grazie alla robusta ripresa post-pandemia, all’affievolirsi delle perturbazioni della catena di approvvigionamento globale e al calo dei prezzi dell’energia. Le prospettive economiche rimangono tuttavia molto incerte, data la presenza di ulteriori rischi al ribasso per la crescita accompagnati da una inflazione soprattutto core che non accenna a diminuire.

Inoltre, gli indicatori di stress finanziario a breve termine sono tornati a salire, nel più ampio contesto di stress nei settori bancari di alcune economie mature, anche se rimangono al di sotto dei livelli legati alla pandemia e alla guerra. Permangono inoltre vulnerabilità strutturali nel settore dell’intermediazione finanziaria non bancaria (NBFI) sotto forma di disallineamento della liquidità e leva finanziaria.

L’elevata volatilità e i segnali di minore liquidità del mercato in generale rendono i mercati finanziari e il settore delle istituzioni finanziarie non bancarie inclini a dinamiche avverse, come la vendita forzata di attività e aumentano la probabilità che si concretizzino eventi creditizi. Tali effetti di amplificazione potrebbero inasprire le condizioni creditizie in modo maggiore del previsto, sia per quanto riguarda il costo che la disponibilità del credito, e potrebbero smorzare la fiducia, indebolendo potenzialmente la resistenza dei settori non finanziari.

Dopo il rally dei mercati finanziari registrato all’inizio dell’anno, le tensioni in alcuni settori bancari delle economie dell’Europa hanno innescato aggiustamenti dei prezzi. I mercati finanziari europei hanno registrato un inizio insolitamente robusto per il 2023, spinti da aspettative macroeconomiche ottimistiche basate sulla tenuta dell’economia, sulla riapertura più rapida del previsto della Cina e un forte calo dei prezzi dell’energia. I solidi risultati finanziari delle imprese che, grazie alla forte domanda all’uscita dalla pandemia che ancora insiste, hanno riportato le valutazioni delle azioni dell’area dell’euro al di sopra delle medie storiche.

Il sentiment positivo nei confronti del rischio ha iniziato a affievolirsi a febbraio, in seguito ai toni più accomodanti usati dalla BCE. L’inversione di tendenza è stata poi più brusca a marzo, quando le tensioni inattese nei settori bancario statunitense e svizzero hanno provocato scosse nei mercati finanziari globali.

I rinnovati timori di recessione a seguito delle tensioni nel settore bancario negli Stati Uniti e in Svizzera hanno abbassato significativamente le aspettative di politica monetaria basate sul mercato. Le condizioni finanziarie si sono inasprite in quanto le turbolenze di mercato hanno portato a un ampliamento dei premi per il rischio di credito nell’area dell’euro.

Per contro, il fatto che i premi per il rischio azionario rimangano compressi in termini assoluti e relativi, solleva più di una preoccupazione per una potenziale sopravvalutazione.

Le azioni potrebbero quindi essere più vulnerabili a una correzione disordinata dei prezzi, in caso di ulteriore deterioramento delle prospettive economiche seguite da un ulteriore aumento dei tassi. Di conseguenza, il sentiment di rischio rimane fragile e molto sensibile alle sorprese sulle prospettive di inflazione, crescita e politica monetaria. Pressioni inflazionistiche più persistenti potrebbero richiedere risposte di politica monetaria da parte della BCE più significative di quanto attualmente previsto dal mercato.

Tra l’altro, anche una nuova impennata dei prezzi dell’energia potrebbe comportare rischi al rialzo per l’inflazione e potrebbe accrescere la già elevata volatilità dei mercati dei tassi d’interesse. La combinazione di un contesto di politica monetaria più restrittiva e di timori di recessione potrebbe mettere sotto pressione le valutazioni degli asset più rischiosi. Allo stesso tempo, l’elevata volatilità dei mercati ha contribuito a un calo sostanziale della liquidità di mercato sia nei mercati delle obbligazioni societarie che in quelli delle obbligazioni sovrane, rendendoli più vulnerabili a un aumento della volatilità.

Ieri è stata la volta del meeting della FED dove è stato deciso, in linea con le attese del mercato, un ulteriore aumento di 25 punti base dei tassi, dopo lo stop dello scorso giugno. Ciò che ha spinto al FED ad aumentare nuovamente i tassi è l’attività economica che si è espansa ancora, anche se ad un ritmo più moderato, l’aumento dei posti di lavoro che è stato robusto e il tasso di disoccupazione che è rimasto basso. L’inflazione complessiva si avvicina all’obiettivo, ma quella core rimane elevata.

Quello che in qualche modo ci preoccupa, sono alcune affermazioni della FED. La prima, il motivo per il quale la banca centrale ha sentito il bisogno di affermare che il sistema bancario statunitense è solido e resistente. (excusatio non petita…), visto che sono fallite tre banche. La seconda, è l’incertezza su quanto le misure di politica monetaria, tramite le condizioni di credito più rigide per le famiglie e le imprese, potrebbe pesare sull’attività economica. Che tradotto significa che la FED naviga vista. Possibile che non abbia un modello econometrico di stima?

Nel determinare l’entità dell’ulteriore crescita dei tassi che potrebbe essere appropriato per riportare l’inflazione al 2% nel tempo, la FED terrà ovviamente conto dell’inasprimento cumulativo della politica monetaria, dei ritardi con cui la politica monetaria influisce sull’attività economica e sull’inflazione e degli sviluppi economici e finanziari.

C’è però un rischio. I consumi delle famiglie sono stati sostenuti dai risparmi cumulati durante la pandemia, così come gli investimenti delle imprese son stati sostenuti dall’enorme massa di liquidità immessa nel sistema. Ma a breve entrambe gli effetti sono destinati a sparire. Famiglie e imprese si troveranno allora a fare i conti con un sistema economico completamente diverso. La flessione di entrambe le componenti potrebbe ridurre significativamente la domanda aggregata. Il rischio quindi è che la FED abbia fatto troppo (qualcuno si ricorderà P. Voclker).

Riteniamo quindi altamente probabile che la FED si fermi nell’aumentare i tassi almeno fino alla fine dell’anno.

A cura di Antonio Tognoli, responsabile macro analisi e comunicazione di Cfo Sim

 

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