Mercati: attenzione ai deludenti dati macro Usa

Il dato sulla fiducia dei consumatori Usa relativa ad agosto è decisamente più bassa sia delle aspettative (106,1 punti contro 116 atteso) sia del dato di luglio (117 punti). Anche l’indice delle aspettative, basato sulle prospettive a breve termine dei consumatori per quanto riguarda reddito, affari e condizioni del mercato del lavoro, è sceso fermandosi a 80,2 (livello molto vicino a quello che indica recessione, pari a 80) invertendo il forte rialzo di luglio (88).

I dati deludenti riflettono cali sia delle condizioni attuali che degli indici delle aspettative. Le risposte ai commenti hanno mostrato che i consumatori sono preoccupati per l’aumento dei prezzi in generale, e per generi alimentari e benzina in particolare. Le valutazioni della situazione attuale sono diminuite in agosto anche a causa del calo dell’ottimismo sulle condizioni di lavoro: meno consumatori hanno affermato che i posti di lavoro sono abbondanti rilevando inoltre che il lavoro è sempre più difficile da ottenere.

I dati concreti confermano che i guadagni occupazionali sono rallentati, gli aumenti salariali complessivi sono meno generosi rispetto a un anno fa e il numero medio di settimane di disoccupazione sta aumentando. Le condizioni economiche in agosto non sono tuttavia cambiate in modo significativo rispetto a luglio, anche se sono ancora leggermente inferiori rispetto a giugno.

Nel frattempo, la curva dei rendimenti USA continua a essere invertita. In questi casi la storia suggerisce che il segnale costituisce un campanello d’allarme per l’economia e potenzialmente precursore di una recessione.

La prima inversione della curva dei rendimenti si è verificata all’inizio del 2022, prima che una normale curva dei rendimenti si riaffermasse. Poi, più tardi nel 2022, la situazione si è nuovamente invertita e persiste ancora oggi. Eppure l’economia ha mantenuto un tasso di crescita lento ma costante. La domanda è quindi se la curva dei rendimenti segnali ancora correttamente il rischio di una recessione imminente, e come dovrebbero rispondere gli investitori?

Per cercare di rispondere a queste domande, analizziamo la situazione. Inversioni di rendimento si sono verificate periodicamente in vari punti lungo lo spettro dei rendimenti a partire da aprile 2022. Ma alla fine dello scorso ottobre, il rendimento dei buoni del Tesoro a 3 mesi è salito al di sopra di quello dei buoni del Tesoro a 10 anni. L’inversione è diventata più pronunciata verso la fine del 2022 e lo spread si è ampliato nel 2023. I tassi di interesse pagati sui buoni del Tesoro a 3 mesi sono ora superiori di circa l’1,3% rispetto a quelli disponibili sui titoli del Tesoro a 10 anni. Ad oggi il rendimento del buono del Tesoro a 3 mesi è di circa il 5,5% mentre quello a 2 anni è al 5,1%. In confronto, il rendimento dei titoli del Tesoro a 10 anni è più basso e con un rendimento del 4,2%.

Alcuni analisti vedono l’inversione della curva come un segnale economico chiave e molti ipotizzano che preveda una futura recessione. L’inversione dei rendimenti tra i titoli del Tesoro a 3 mesi e 10 anni è piuttosto accentuata e con tassi a breve termine così elevati, le aziende potrebbero diventare sempre più riluttanti a contrarre prestiti: è più difficile ottenere un profitto quando si investe il capitale preso in prestito in nuove attrezzature e strutture o si aggiungono dipendenti. E questo potrebbe essere il precursore del rallentamento dell’attività economica.

Il fatto che tale rallentamento non si sia ancora verificato potrebbe tuttavia segnalare che le aziende non hanno un disperato bisogno di emettere debito: non ci sono state infatti nuove emissioni significative di obbligazioni societarie negli ultimi mesi. Inoltre, nel complesso, le aziende non mostrano ancora segni di sofferenza per quanto riguarda il loro carico di debito e continuano a mantenere bilanci solidi.

L’affidabilità della curva dei rendimenti invertita come segnale di recessione potrebbe quindi essere sospetta. Di fatto, abbiamo solo dati risalenti a meno di 50 anni fa e quindi il collegamento di causalità potrebbe non essere così infallibile.

I segnali contrastanti meritano comunque di essere osservati. Non è ovviamente facile dirlo con certezza, ma storicamente quando assistiamo ad un’inversione così significativa come quella attuale, in genere si va verso una recessione. Del resto, le banche tendono a ridurre i prestiti in questo tipo di contesto e i tassi di interesse più elevati smorzano anche i prestiti al consumo. Dall’altra parte si potrebbe obiettare che sebbene l’inversione della curva costituisca il potenziale presagio di una recessione, questa non appare come una conclusione scontata.

Anche se i prestiti bancari si sono ridotti, non è ancora del tutto chiaro se questo stia avvenendo a un ritmo indicativo di una recessione. Vale la pena di ricordare che le circostanze uniche dell’attuale contesto economico in cui la curva si è invertita, hanno svolto (e forse lo faranno ancora per alcuni mesi) un ruolo decisivo nella performance resiliente dell’economia. All’inizio del 2020 gli stimoli governativi, uniti a quelli monetari, hanno infatti creato circostanze insolite che possono aver portato all’attuale ciclo di inversione della curva dei rendimenti.

Quali sono allora i segnali chiave da monitorare? Siamo sempre più convinti che la futura forza dell’economia possa dipenderà dal mercato del lavoro. I recenti dati evidenziano che il tasso di disoccupazione rimane stabilmente al di sotto del 4% e molto vicino ai minimi degli ultimi 50 anni. E questo determina la stabilità della spesa al consumo, sostenuta proprio dalla forza del mercato del lavoro, che ha contribuito a mantenere l’economia su una traiettoria di crescita. Chiaro quindi come, nonostante i consumatori abbiano ridotto i risparmi e stiano facendo più debiti, gli aumenti salariali siano stati sufficienti per consentire ai consumatori di mantenere un solido ritmo di spesa.

I tassi a breve termine nel mercato obbligazionario tendono a rispondere alla politica monetaria della FED relativa al tasso obiettivo dei fondi federali che controlla. La FED ha aumentato il tasso dei fondi federali da quasi zero prima di marzo 2022 ad un intervallo compreso tra il 5,25% e il 5,50% a luglio 2023. Da quando la FED ha cambiato strategia, i rendimenti sui buoni del Tesoro statunitensi a 3 mesi sono aumentati, dallo 0,01% a fine del 2021 al 5,5% circa di oggi. Ulteriori rialzi dei tassi non sono stati esclusi e i membri del FOMC continuano ad insistere sul fatto che manterranno tassi di interesse elevati per un periodo prolungato e comunque fino a quando l’inflazione annuale non sarà stabilmente vicina al target del 2%.

L’aumento di 525 punti base in quindici mesi si è sentito sull’inflazione, che dal picco del 9,1% è scesa al 3,2%. Ma rimane tuttavia al di sopra del livello target del 2%. In quest’ottica, i tassi dei titoli del Tesoro a breve termine difficilmente diminuiranno in modo significativo finché la FED non invertirà la rotta e inizierà ad abbassare il tasso obiettivo dei fondi federali. Pertanto, qualsiasi cambiamento nella forma della curva dei rendimenti sarà ritardato o richiederà un rialzo dei rendimenti obbligazionari a lungo termine.

Riuscirà la FED ad avere successo nella sua strategia di riportare l’inflazione dl 2% senza spingere l’economia verso la recessione? La maggior parte delle aziende è riuscita a mantenere una forte posizione finanziaria, anche se i ricavi e gli utili aziendali saranno sempre più sottoposti ad una pressione crescente. Nell’attuale contesto di tassi d’interesse il ritorno economico derivante dalla spesa in conto capitale è minore e questo potrebbe in definitiva contribuire a rallentare la crescita economica.

La spesa dei consumatori è l’altro fattore importante che influenzerà le prospettive economiche. Fino ad oggi i consumatori hanno dimostrato resilienza nonostante il cambiamento dei tassi di interesse e il contesto inflazionistico.

A cura di Antonio Tognoli, responsabile macro analisi e comunicazione di Cfo Sim

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