Pechino vuole ridurre i prestiti concessi dalle proprie banche. Le conseguenze

A cura di Wings Partners Sim

La Cina ha chiesto alle proprie banche di ridurre il numero complessivo di prestiti concessi nel corso del primo trimestre 2017, una scelta volta a ridurre un livello eccessivo del debito del settore privato, che rischia di minare la stabilità del sistema finanziario locale. Infatti da tempo si sottolinea questa problematica, evidenziando come i tassi di crescita dell’economia siano inferiori rispetto all’incremento dell’indebitamento. Questo ha portato il Governo di Pechino a promuovere questa azione, per evitare un ulteriore ingrossamento dell’attivo delle banche, auspicando che non sia troppo tardi per intervenire e agendo gradualmente.

La scelta di ridurre i prestiti emessi rappresenta tuttavia una grossa problematica, dato che molte società private rimanevano in attività solo grazie all’incremento dei prestiti e potrebbero quindi registrarsi nei prossimi mesi default a catena. Inoltre il rischio è quello di vedere un incremento delle pratiche di shadow banking, ovvero prestiti al di fuori del circuito bancario ufficiale, che presentano meno garanzie e tassi d’interesse più alti (oltre ad essere più difficilmente controllabili).

Per compensare l’effetto negativo sull’economia di questo tipo di azione la Cina ha imposto controlli sui capitali più stringenti, in modo da mantenere maggiore liquidità disponibile all’interno del Paese: da quest’anno i cittadini non potranno più convertire yuan in valute straniere (fino a $50.000 l’anno) per acquistare proprietà immobiliari. Questa politica dovrebbe ridurre gli effetti negativi sullo yuan contro dollaro determinati dal progressivo rialzo dei tassi della Federal Reserve. D’altro canto sarà impossibile per molti cinesi acquistare immobili all’estero.

Il problema non riguarda però solo impegni futuri presi dai cinesi, ma fa riferimento anche a pagamenti già dovuti, che potrebbe costringere molti proprietari a vendere gli immobili in tempi brevi per evitare default. Questo rappresenta quindi un rischio di ribasso per il mercato immobiliare internazionale e più marcatamente quello australiano e quello britannico, quest’ultimo già sotto pressione dopo il referendum sul Brexit.

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