Mediolanum, la madre di tutte le disfunzioni del risparmio gestito italiano?

Puoi passare la vita a tracciare cerchi intorno a te o ai tuoi clienti, ma la diffidenza (per alcuni) o l’invidia (per altri) non diminuiranno mai. Almeno finché non si cambierà modo di fare le cose. Ancora una volta è Banca Mediolanum al centro degli strali degli utenti di Bluerating, che negli ultimi giorni sono tornati a sottolineare quelli che appaiono i difetti più gravi della struttura guidata da Ennio Doris: una mancanza di trasparenza e un modello organizzativo piramidale che finisce con lo spingere molti a uscire nonostante inizi “tra gli applausi”.

 

Commentando la recente notizia dell’arruolamento di nuovi professionisti un nostro lettore scrive: “Ho visto un centinaio di persone iniziare tra gli applausi dei manager e poi mollare, alcuni con i debiti. Tutta gente super selezionata, molti ex bancari, tutti con un precedente lavoro onesto”.  Gli dà manforte Marco, un altro ex PF Mediolanum: “Ho passato 8 anni in Mediolanum e non li invidio di sicuro. Ho dato le dimissioni e ho dovuto fare un prestito di due anni per pagarmi le spese di un ufficio che non era neppure il mio”.

 

Come mai, allora, la struttura continua a godere di buona salute, almeno a giudicare dalle trimestrali? Ci racconta un altro utente: “Mediolanum continua a raccogliere perché:  1. la pubblicità del conto corrente ad alta remunerazione raccoglie masse di denaro , 2. ha 6.000 venditori (tra promotori e produttori assicurativi) con schema piramidale (basso management fee) che costringe loro a far pagare molte commissioni ai clienti se vogliono sopravvivere (propongono quindi solo Pac e Pic azionari finanziari/assicurativi con alti costi di ingresso e di gestione e in conflitto di interessi essendo solo investimenti Mediolanum); 3. la cultura finanziaria italiana è talmente scarsa che i risparmiatori non riescono a valutare e confrontare le proposte di investimento”.

 

Quella della cultura finanziaria è, al di là dei meriti e demeriti della singola struttura o manager, il problema più rilevante, in un paese che di cultura dimostra di averne poca in molti campi, purtroppo, finendo col contare sempre meno all’estero e col perdere col tempo il controllo di importanti settori economici, che puntualmente finiscono in mano ai maggiori gruppi internazionali. Chi ha seguito in questi anni le vicende del risparmio gestito non si stupisce più di tanto, dunque, delle voci di ingresso di nuovi soci o vendite più o meno mascherate o scaglionate nel tempo di questo o quel gruppo, di questo o quell’operatore. Il rischio che il paese divenga solo un grande supermercato in cui i prodotti, sino essi alimentari, industriali o dei servizi, vengono confezionati da altri e qui trovano solo una distribuzione a costi più o meno elevati e più o meno opachi è concreto e non da ora.

 

Quello che pare di osservare, complice le spinte verso una maggiore trasparenza nate dopo l’esplosione della crisi economico-finanziaria dell’ultimo biennio (oltre che quella del debito dei PIIGS europei in queste settimane), è la nascita di una domanda di maggiore informazione, comportamenti più rispettosi dell’interesse dei consumatori e dei risparmiatori, una domanda che chiede risposte alla crisi che finora stentano ad emergere se non come forma di proclami buoni per suscitare una reazione “usa e getta”. Così il tema resta aperto: credete che la crisi attuale possa essere l’occasione (forse l’ultima) per cambiare le regole di questo mercato, o non resterà che rassegnarsi al ruolo di semplici collocatori dei prodotti (e dell’interesse) altrui?

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