Promotori – Anasf, tra le liste manca la voglia di osare

di Fabrizio Tedeschi

…ognuna con un dettagliato programma. I problemi della categoria sono tantissimi; la crisi finanziaria e, probabilmente, l’introduzione della MiFID hanno inciso sull’intero settore e ne hanno ridotto la redditività. L’introduzione della figura di consulente finanziario e degli incentivi ha diminuito i margini di azione e di produttività della professione. Occorre quindi un profondo ripensamento di tutto l’impianto sia legislativo/regolamentare sia operativo per assicurarle un avvenire. Le proposte delle diverse liste sono tutte valide e, in varia misura, condivisibili, però non affrontano il cuore del problema. Sembrano affette da timidezza, non sono proposte di livello “alto”; alcune di loro sono addirittura di vera e propria chiusura, quale l’insistenza di avere un promotore finanziario alla guida della categoria, quando le altre associazioni imprenditoriali hanno presidenti “indipendenti” o comunque di garanzia e non direttamente operativi. Tutte le liste presentano proposte valide ma di “bottega”, nessuna osa modificare lo “statuto” della categoria. Basti pensare a idee come l’organismo dei promotori o la camera di conciliazione e arbitrato presso Consob e Banca d’Italia. Considerate fuori dal sistema, sono diventate realtà dopo una decina d’anni. Se è opportuno propugnare la possibilità di svolgere l’attività in associazione professionale, sarebbe stato più incisivo chiedere la libertà di svolgerla in forma societaria. Una simile riforma in sé e per sé non appare impossibile. La figura del tied agent inglese, descritta nella direttiva MiFID, prevede sia la persona fisica sia quella giuridica. Le varie liste avrebbero dovuto inserire questa proposta nei loro programmi. I consulenti finanziari, pur non avendo tuttora un albo e senza sapere quale possa essere il loro numero e la loro forza, con un’intelligente attività di lobby, hanno ottenuto di poter esercitare la professione in forma societaria. Per qual motivo dovrebbe essere negata ai promotori? A ben vedere, fatti i dovuti conti, una simile innovazione finirebbe per essere di giovamento per tutti.
Rispecchierebbe meglio il ruolo imprenditoriale del promotore (o come si chiamerà in futuro). Non ci sarebbe più da rivendicare un’imprenditorialità che è già presente nella forma. Anche i rapporti con le società mandanti sarebbero su basi diverse e più lineari: non si tratterebbe di un rapporto di lavoro parasubordinato, ma di un contratto paritetico di fornitura di servizio. Il cliente sarebbe tutelato da una forma assicurativa, come richiesto per i consulenti, e quindi, in caso di malversazioni, l’investitore avrebbe due garanzie: quella assicurativa e quella dell’intermediario. Ne trarrebbero vantaggio anche le società mandanti perché si ridurrebbero i loro rischi, anche quelli reputazionali.

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