Risparmio gestito – Il debito emergente fa bene

Negli ultimi anni, il debito dei paesi emergenti ha avuto degli interessanti sviluppi. La fine di un mega ciclo del credito, così deleterio per i sistemi bancari e gli indicatori sul debito sovrano di molte economie in via di sviluppo ha lasciato molti mercati emergenti relativamente incolumi. Anche se dopo gli incontri del G20 e dell’FMI nel marzo 2009, l’attività preventiva del Fondo Monetario Internazionale ha dato una forte spinta ai mercati emergenti, sono state le drastiche misure monetarie e fiscali dei paesi sviluppati a favorire – sebbene non intenzionalmente – i paesi emergenti. Tassi di interesse nel breve termine vicino allo zero in Giappone, Europa e Stati Uniti, l’impatto delle misure di quantitative easing e i timori deflazionistici nelle economie sviluppate hanno fatto del debito dei mercati emergenti un tipo di investimento con rendimenti relativamente alti, determinando un incremento della raccolta in questa asset class. Ma buoni rendimenti non sono l’unica attrazione, specialmente da quando il rally iniziato nell’ottobre 2008 ha ridotto i rendimenti sul benchmark più seguito, l’indice del debito estero dei mercati emergenti denominato in dollari, all’attuale minimo sotto il 5,60%, con uno spread di circa il 3% sui titoli di stato USA.

La possibilità di una futura emissione relativamente modesta di debito sovrano è un incentivo a investire in debito dei mercati emergenti.
Per la prima volta nella storia dei mercati finanziari è ora più semplice prevedere l’entità del debito che emetteranno i paesi emergenti di quanto non sia calcolarlo per le economie sviluppate. Demograficamente, i paesi emergenti non hanno il problema dell’invecchiamento della popolazione e ciò significa che non sarà difficile ripagare il debito per via della crescita dei flussi di rendimenti generati da una popolazione più giovane. Nel tentativo di contenere l’impatto dei flussi di investimenti esteri sulle loro monete, le banche centrali dei paesi emergenti hanno accumulato velocemente riserve di valuta estera. Gli emerging market sono diventati creditori netti sempre più forti, rafforzando la loro posizione finanziaria rispetto ai paesi sviluppati e mettendo in discussione la convinzione che i paesi sviluppati riusciranno ad evitare un reale deprezzamento delle loro monete e del valore dei loro bond.

Ma il vero argomento a supporto della tesi di investimento nel debito dei mercati emergenti è il miglioramento delle prospettive di crescita di questi paesi nel lungo termine, indipendentemente dal tipo di ripresa che vedranno le economie sviluppate. Secondo le previsioni, nei prossimi 20 anni il PIL dei paesi BRIC e dei cosiddetti “NEXT 11”[1] cresceranno in media del 6%, rispetto alla crescita del PIL delle economie sviluppate che per lo stesso periodo si attesta a una media del 3%. L’aumento degli investimenti e degli scambi tra i mercati emergenti li rende meno dipendenti dalla crescita del mondo sviluppato. Lo scorso anno, gli investimenti diretti delle aziende cinesi all’estero hanno toccato quota 56,5 miliardi di dollari, il 70% dei quali è stato investito in altri paesi asiatici e il 15% in America Latina[2]. Le autorità cinesi hanno previsto di recente che gli investimenti toccheranno i 100 miliardi di dollari nel 2013. Per gli investitori di oggi, la sfida è quella di garantirsi una quota della crescita futura attraverso gli asset dei paesi emergenti mentre sono ancora classificati come “emergenti”. Entro i prossimi 10 anni i grossi investitori degli emerging markets, tra cui fondi sovrani e multinazionali dei paesi emergenti, potrebbero a sorpresa dominare i flussi di investimento dei paesi emergenti nonostante un aumento di interesse da parte degli investitori dei mercati sviluppati.

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