Post-Brexit: l’effetto di un “sì” sul Forex

A cura di P. Rosenstreich, Head of Market Strategy e Y. Quelenn, analista, Swissquote
Con la Fed in  posizione attendista, il dibattito su Brexit è rimasto il driver principale sul quale i mercati peseranno le loro mosse questa settimana. Misurare l’oscillazione delle aspettative sul risultato britannico è diventata prassi quotidiana ormai da due settimane tanto che pensiamo che questo rumore (finora rimasto in sottofondo) possa diventare assordante nei prossimi giorni. Poichè sembra ormai certo che i sondaggi non siano ancora in grado di fornire una prova inconfutabile circa la direzionalità dell’esito del referendum, iniziamo a credere che per gli investitori sia come giocare a testa o croce. Pertanto riteniamo che la volatilità giornaliera (e che ben si riflette nel rialzo dei premi sulle opzioni che hanno come sottostante la sterlina) possa rimanere elevata e che le posizioni registrate alla chiusura di Borsa dello scorso venerdi (17 giugno ndr) possano mantenersi inalterate fino all’apertura dei mercati di giovedi 23 giugno.
Rimaniamo concentrati sulle conseguenze offerte dalla prevalenza di “Leave” dal momento che sarà proprio questo il risultato in grado di produrre gli effetti più profondi e confusionari. Qualora si verificasse questa ipotesi, potrebbe essere una buona idea quella di vendere la coppia sterlina-yen e quella formata da euro-franco svizzero poichè le vendite si concentrerebbero immediatamente su Gran Bretagna ed Europa se le loro relazioni dovessero deteriorarsi con la possibilità di un rally dell’euro sulla sterlina.
La seconda strategia invece consisterebbe nel vendere le monete di quei Paesi che hanno rapporti commerciali significativi con entrambe le aree poichè pensiamo che vi sarà una contrazione immediata della crescita, causata dalle crescenti incertezze. Pertanto Norvegia, Polonia e Svezia sarebbero i primi Paesi ad essere interessati (e con essi le relative monete), al punto che nemmeno il tradizionale status di safe-haven dei Paesi produttori di petrolio (come Norvegia e Svezia) sarebbe in grado di proteggere queste valute da un immediate sell-off. Di contro, questo movimento in vendita non farebbe che aumentare i guadagni  della triade composta da dollaro americano – yen – franco svizzero.
Merita di essere sottolineato il fatto che i timori per una Brexit non hanno fatto altro che alimentare la speculazione sui bitcoin e tutte le altre monete elettroniche crittografate: il bitcoin contro dollaro USA si trova sui massimi degli ultimi due anni. Pur senza voler sembrare provocatori ad ogni costo e per quanto questa alternativa sia sostanzialmente più rilevante per il singolo investitore che non per gli istituzionali, non possiamo non ammettere che le monete elettroniche teoricamente rappresentano l’unica via di fuga dalle manipolazioni che riguardano le monete tradizionali nonchè il solo modo per evitare le potenziali distorsioni che potrebbero venire causate dalle banche centrali a seguito del voto britannico.
In tale contesto non ci stupiamo di osservare come tassi di interesse negativi siano ormai diventati la nuova normalità (“New Normal”): il rendimento del Bund decennale è  sforato in territorio negativo per la prima volta nella storia assurgendo a vero e proprio simbolo del sentimento di avversione al rischio globale in grado di svilire sul nascere qualsiasi sentimento rialzista che non sia di brevissima durata. Poichè dobbiamo abituarci a fare i conti con un costo del denaro negativo per la maggiorparte delle scadenze obbligazionarie, preferiamo continuare ad investire nelle materie prime concentrandoci in particolare sui metalli preziosi poichè riteniamo che le banche centrali abbiano ancora spazi di manovra per effettuare ulteriori allentamenti monetari da qui a fine anno. Certamente non escludiamo la possibilità di assistere ad un piccolo rally post-Brexit di breve durata, per quanto a causa di fondamentali estremamente deboli questo non confligga certamente con il quadro recessivo in atto.

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