Bnp Paribas Am: decelera la crescita, scendono le attese d’inflazione

MERCATI AZIONARI STABILI – I mercati azionari sono rimasti sostanzialmente stabili, con una volatilità che ha sfiorato i minimi storici in Europa e li ha toccati negli Stati Uniti, anche per quanto riguarda il mercato dei Treasury, spiega Joost van Leenders, chief economist del team Multi asset solutions di Bnp Paribas Am. L’attenzione dei mercati nelle ultime settimane è stata dominata dal brusco crollo dei prezzi del greggio, mentre sul fronte macroeconomico hanno cominciato a prevalere dati inferiori alle attese e, in base ad alcuni segnali, le indicazioni ottimistiche delle indagini congiunturali stanno convergendo verso le cifre più modeste dell’economia reale. Non abbiamo riscontrato alcun robusto catalizzatore in grado di innescare un forte rialzo a breve e stiamo invece monitorando altri fattori che analizziamo di seguito.

PREZZI DEL GREGGIO: SVOLTA AL RIALZO IN PROSPETTIVA? – Rispetto a fine maggio, il greggio si è deprezzato del 18% trainando al ribasso alcuni attivi finanziari legati al settore petrolifero – tra cui le valute dei paesi emergenti e le obbligazioni societarie ad alto rendimento USA – ma risparmiando i mercati azionari, rimarca van Leenders. A nostro avviso queste fluttuazioni di mercato sono in linea con la percezione che il ribasso del greggio sia stato determinato dall’eccesso di offerta piuttosto che da una riduzione della domanda. Tale andamento è probabilmente riconducibile a vari fattori tra cui spicca la produzione di greggio negli USA, che continua a salire mentre le scorte rimangono elevate. In effetti, l’estrazione di idrocarburi da scisto negli Stati Uniti ha radicalmente modificato la curva di offerta, con un’offerta elastica a un prezzo di pareggio che era già basso due anni fa e probabilmente è ancora più basso oggi. Inoltre, sul fronte dell’offerta ci sono state altre novità: la produzione è aumentata in Libia mentre il cambiamento nella linea di successione al trono in Arabia Saudita ha probabilmente minato la fiducia del mercato nei tagli alla produzione promessi dall’OPEC. Tuttavia anche se tali tagli fossero prolungati, gli investitori non potrebbero far a meno di pensare che la produzione statunitense possa aumentare ancora per compensare eventuali ammanchi di altri paesi produttori. Non è escluso che i prezzi possano tornare a salire, ma probabilmente incontreranno forti difficoltà per superare l’insormontabile ostacolo rappresentato dell’aumento dell’offerta. Pertanto alla luce del carry negativo su questa tipologia di attivo, riteniamo che sia troppo presto per adottare una posizione sovrappesata nel comparto petrolifero o nel settore delle materie prime in generale, ma stiamo tentando di individuare qualche segmento di mercato che potrebbe beneficiare di un rincaro del greggio.

 

CRESCITA E INFLAZIONE: PROSPETTIVE CONTRASTANTI – Negli ultimi tempi, gli indicatori prospettici hanno dato segnali molto positivi, ma i nostri analisti dubitano che i dati reali possano mantenere queste “promesse”. Intanto, gli ultimi dati economici pubblicati non sono più risultati superiori alle attese né negli USA né nella zona euro ed hanno iniziato a deteriorarsi anche in Giappone e nei paesi emergenti, fa notare van Leenders. In giugno, gli indicatori prospettici elaborati in base alle valutazioni dei responsabili degli acquisti delle società (PMI) sono risultati in linea con tali andamenti, sia negli USA che nell’eurozona. In quest’area, il PMI composito è sceso al minimo da gennaio – anche se il livello attuale segnala ancora una forte crescita – e l’indice tedesco Ifo è salito ai massimi da oltre dieci anni a questa parte. Pertanto, riteniamo che sia troppo presto per nutrire dei timori per la crescita in Europa. Negli Stati Uniti, il PMI composito è crollato ai minimi registrati nel settembre scorso. I dati pubblicati finora nel secondo trimestre indicano che l’accelerazione rispetto al basso ritmo di crescita del primo trimestre potrebbe essere più modesta del previsto. L’espansione dei prestiti concessi dalle banche al settore industriale e alle attività commerciali ha fatto segnare una notevole flessione e questo rallentamento sembra essere riconducibile a un calo domanda. Se le aziende decidono di prendere meno denaro in prestito, i dividendi o i riacquisti azionari sembrano destinati a risentirne. Intanto, i prezzi al consumo hanno rallentato e di conseguenza le attese d’inflazione sono scese, ma pare che le banche centrali ritengano tale andamento temporaneo. Negli Stati Uniti, la Federal Reserve dispone di una certa flessibilità nell’attuazione della politica monetaria, ma l’anno prossimo la BCE potrebbe essere costretta ad una contrazione degli acquisti di attivi a causa della carenza di emissioni che rispondono ai requisiti previsti dal programma di allentamento quantitativo. Questo comporterebbe una riduzione dei margini di manovra della banca centrale. Inoltre è probabile che il ribasso del greggio freni ulteriormente i prezzi al consumo, facendo scendere di conseguenza le aspettative di inflazione. Per il momento, i mercati azionari non sembrano preoccuparsi troppo. Finché la crescita tiene ragionevolmente bene e la dinamica e le correzioni dei profitti societari restano orientate al rialzo, gli investitori ritengono questo uno scenario ideale: crescita e inflazione abbastanza robuste per sostenere l’espansione degli utili e rendimenti obbligazionari sufficientemente bassi da non turbare i mercati azionari. Ad ogni modo, alla luce dei nostri timori per i livelli troppo alti sia delle quotazioni sia delle attese relative ai profitti, abbiamo mantenuto una ponderazione neutra nel comparto azionario.

CINA: GLI EFFETTI DELLA STRETTA MONETARIA – In base ai tassi d’interesse a breve termine, la politica monetaria ha subito un netto inasprimento in Cina, sottolinea van Leenders. La crescita della massa monetaria M2 si attesta al ritmo più lento mai registrato, mentre l’espansione del credito ha bruscamente decelerato. Secondo noi, un freno alla crescita dell’indebitamento è necessario in una prospettiva di più lungo termine, ma trovare un punto di equilibrio tra l’inasprimento delle condizioni creditizie e un obiettivo di crescita del 6,5% rappresenta una sfida per le autorità di Pechino. Inoltre, il settore dell’edilizia residenziale ha fatto registrare un brusco calo delle costruzioni e delle vendite, malgrado la recente stretta monetaria sia stata modesta. Considerando le dimensioni dell’economia cinese, tali andamenti potrebbero influire significativamente sull’economia e sui mercati finanziari globali. Finora l’inasprimento monetario è stato graduale e sufficientemente morbido per non causare preoccupazioni. Ma i dati relativi all’interscambio commerciale e alla produzione industriale in alcuni paesi asiatici dimostrano che la recente spinta arrivata dalla Cina si sta indebolendo. Noi riteniamo che le autorità cinesi stiano dando priorità alla stabilità della crescita e pertanto tendiamo a escludere che la Cina possa provocare forti turbolenze sui mercati in tempi brevi.

ALLOCAZIONE DEGLI ATTIVI: INVARIATA – A prima vista i mercati azionari sembrano stabili, ma vi sono alcuni sviluppi interessanti sottotraccia. Gli indici azionari USA sono riusciti a salire ancora, mentre le quotazioni dell’eurozona si sono assestate su un modesto trend al ribasso. Questa discrepanza è dovuta in gran parte alle differenze nella composizione settoriale degli indici. Infatti, l’informatica rappresenta il 22,6% dell’S&P 500 ma solo il 6,5% dell’EuroSTOXX 600. Anche il settore sanitario, un altro comparto che ha sostenuto la performance del mercato azionario, costituisce una quota molto maggiore dell’indice del mercato statunitense rispetto alla zona euro. In generale, i titoli finanziari sono stati penalizzati dal calo dei rendimenti obbligazionari, ma le società USA hanno in parte beneficiato delle speculazioni di mercato sulle prospettive di deregolamentazione del settore della finanza. Ad ogni modo, riteniamo che in una prospettiva di medio termine siano più importanti i multipli di mercato, le prospettive e la dinamica degli utili societari. Riteniamo le azioni statunitensi più care rispetto ai titoli della zona euro e – tenendo conto del recente miglioramento della situazione politica in Europa – per noi il sovrappeso azionario rispetto alla Gran Bretagna rappresenta sostanzialmente un sovrappeso anche rispetto al mercato degli Stati Uniti. Le azioni della zona euro sono salite sulla scia dei salvataggi bancari in Italia. Dopo che la BCE ha dichiarato che Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca “erano in fallimento o in probabile fallimento” e l’autorità dell’Unione europea responsabile delle decisioni di risoluzione bancaria ha deliberato che non sussistevano tutti i requisiti previsti per una risoluzione, Intesa Sanpaolo è intervenuta per acquistare la parte sana degli istituti per un importo simbolico, mentre i prestiti in sofferenza sono stati trasferiti a una cosiddetta “bad bank“. Il governo italiano ha versato a Intesa 5,2 miliardi di euro e ha stanziato ulteriori 12 miliardi di euro a garanzia delle future perdite sugli attivi trasferiti. L’operazione dovrebbe tutelare gli obbligazionisti privilegiati e i depositanti principali. Nel segmento dei titoli di Stato pare che il calo dei rendimenti decennali USA sia arrivato al punto di svolta, mentre i rendimenti dei titoli tedeschi stanno ancora scendendo verso la parte bassa della fascia di oscillazione registrata dalla fine dell’anno scorso. Solo una nuova fiammata dei rischi di natura politica o nuovi indizi di un errore di strategia da parte della BCE potrebbero spingere i rendimenti tedeschi al di sotto della soglia inferiore di tale fascia, ma al momento tali sviluppi sono poco probabili. I rendimenti tedeschi paiono bassi da un punto di vista strutturale e pertanto non abbiamo modificato la posizione short in termini di duration.  Infine, riteniamo che gli spread sui titoli societari high-yield USA siano troppo bassi alla luce del deterioramento del bilancio di numerose imprese USA e dell’ulteriore assottigliamento delle riserve finanziarie degli emittenti di questo comparto. Puntiamo dunque a ottenere una remunerazione sul debito dei paesi emergenti in valuta locale e sul settore immobiliare USA, conclude van Leenders.

 

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