Consultinvest: la Cina a caccia dello shadow banking

LE RAGIONI DELLA CRESCITA – Pochi dubbi sussistono sul fatto che la poderosa crescita economica cinese degli ultimi anni sia stata sostenuta inizialmente dalla disponibilità di manodopera a basso costo trasferitasi dalle campagne alle città e successivamente da una violenta creazione di credito, spiega una nota di Consultinvest. Volendo soffermarsi su quest’ultimo aspetto ricordiamo che la creazione di credito in percentuale del Pil è salita con continuità negli ultimi anni, passando, sia pure in modo non sempre graduale, dal 16.7% del Pil del 2002 al 29,26% registrato a fine I semestre 2017. Dato che dal punto di vista finanziario la Cina è tuttora un’economia piuttosto chiusa, questa crescita poderosa ha portato ad un livello d’indebitamento complessivo elevatissimo. Chi ha provato a stimarlo, includendovi anche il cosiddetto shadow banking (ossia quell’attività assimilabile alla creazione di credito realizzata attraverso strumenti non bancari assimilabili alle tipologie dei prodotti d’investimento dell’asset management ma ben poco regolamentati e per nulla trasparenti), è arrivato a calcolare percentuali vicine al 300% del Pil. Valori che storicamente hanno anticipato crolli finanziari e che ora la Cina vuole provare a contenere seriamente. Con la forte affermazione politica del presidente Xi, successiva alla conclusione del XIX congresso del Partito comunista cinese, questa azione di contenimento, minacciata da diversi anni, sembra aver trovato ora il suo momento decisivo. La stessa Banca centrale cinese (PBOC), di recente era diventata molto più esplicita sulla inevitabilità di dover intervenire per calmierare e controllare la crescita di questi aggregati creditizi, soprattutto di quelli dello shadow banking e dei prodotti di wealth management, cresciuti ad una dimensione in grado di mettere a rischio la stabilità finanziaria domestica: si stima che lo stock di questi prodotti abbia raggiunto i 15mila miliardi di dollari Usa, ovvero oltre il 140% del Pil. Motivo per cui il governatore della PBOC ha recentemente parlato della possibilità di un “Minsky moment” in stile 2008).

STRETTA IN VISTA – Le misure che saranno prese a livello di politica monetaria – moderatamente più restrittiva – e a livello di controllo – eliminazione delle pratiche più pericolose e neutralizzazione delle istituzioni più esposte e non vigilate – avranno ovviamente un riscontro negativo nel panorama degli investitori retail cinesi. Molti sono abituati ad investire a rendimenti più elevati rispetto a quelli disponibili presso i soggetti bancari regolati; rendimenti molto elevati e considerati privi di rischio o garantiti, ma che in realtà sono frutto di investimenti molto rischiosi nei settori dell’immobiliare, dell’estrattivo o nell’industriale pesante, e sono poco correlati alla durata finanziaria breve del prodotto o alla sua categoria finanziaria. Sono prodotti d’investimento di tipo monetario spesso investiti in progetti azionari di lungo termine che già hanno iniziato ad esibire problemi di solvibilità che tuttavia, data la loro enorme popolarità, è stata gestita e neutralizzata con escamotage propri del salvataggio pubblico o bancario. Ora l’idea di Xi, politicamente saldo in sella e privo di oppositori interni, è che si abbiano tutti gli strumenti per fronteggiare il malcontento degli investitori e fargli digerire l’amara medicina, ovviamente dopo aver già preparato il terreno di una narrazione che vede e chiede come non più rimandabile il passaggio ad una crescita economica più modesta ma più solida. Quindi la cuccagna per gli investitori è destinata a finire. Venerdì 17 novembre ne è arrivata la conferma: da luglio 2019 scatteranno una serie di regole e provvedimenti in grado di mettere fuori dal mercato prodotti che oggi consentono arbitraggi regolamentari e che non sono adeguati per l’investitore, poiché basati su livelli elevati di leva occulta o esposti a rischi sproporzionati. L’impatto colpirà anche istituzioni finanziarie che hanno prosperato sulla vendita di questo tipo di prodotti. I tempi attuativi sono lunghi, poiché riflettono il tentativo di evitare che limitazioni forti in un settore molto grande, economicamente rilevante e che si basa sulla fiducia verso la credibilità/solvibilità dei prenditori, producano fughe incontrollabili. Tuttavia molti strumenti d’investimento hanno scadenze brevi (3 mesi) e l’investitore, alla luce delle nuove misure, potrebbe non rinnovare, lasciando in difficoltà tanto chi ha arrangiato il prodotto, investendo su scadenze molto più lunghe, quanto iniziando a mettere pressione su chi si dovrà rifinanziare.

LE CONSIDERAZIONI – Due le considerazioni finali:
a) già in passato si è cercato di limitare queste pratiche e l’espansione di questo mercato, salvo poi fare veloce marcia indietro di fronte agli scossoni prodottisi (es 2015). Anche questa volta resta da vedere se i tempi lunghi di attuazione saranno sufficienti ad evitare reazioni negative o imprevedibili nella platea di risparmiatori, che sarà inevitabilmente colpita da ritorni più bassi, più volatili, più rischiosi e non più garantiti dai salvataggi statali alla bisogna (anche nel nostro piccolo in Italia, “mutatis mutandis”, l’introduzione della BRRD ha prodotto i suoi effetti);
b) con un tale livello di restrizione nel credito, se effettivamente applicata anche con successo e senza intoppi anche nei tempi lunghi, ci dobbiamo attendere che la spinta esercitata dal credito alla crescita economica vada a calare e che il tasso di espansione del Pil cinese ne risenta di conseguenza.

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