Consultinvest: Trump, la Fed e le prospettive del mercato obbligazionario

UN RISVEGLIO TRAUMATICO – Dopo mesi in cui il mercato si era convinto di scenari futuri con bassi tassi di interesse per ancora lunghi periodi di tempo e della necessità di andare a caccia di rendimenti anche ridotti in termini assoluti purché positivi, il risveglio di questo fine 2016 è stato abbastanza traumatico, si legge in una nota di Consultinvest, la società guidata da Maurizio Vitolo. Dall’elezione di Trump il mercato obbligazionario governativo USA ha messo a segno perdite importanti che hanno visto il titolo decennale salire di ben 64 bps e il 30 anni di 54 bps, apportando rispettivamente perdite del -5.5% e del -9.3%. Il veloce cedimento di questi due benchmark per il mondo obbligazionario globale hanno trascinato al ribasso non solo l’intero mercato obbligazionario USA ma anche quello governativo della zona euro (e quello degli Emergenti), dove il Bund ha perso un -1.9% e il mercato governativo complessivo dell’eurozona un -1.6%, con la periferia che ha subito perdite anche maggiori nonostante il QE della BCE. Questa correlazione positiva dovrebbe continuare a rimanere viva – oscillando tra fasi più o meno violente – ed è per questo che diventa importante leggere bene la direzione futura del mercato governativo USA.

LA SOGLIA PSICOLOGICA DEL 2,50% – Oggi il decennale governativo negli USA è arrivato a rendere il 2,40%, a soli 10bps dal tetto di 2,50%, raggiunto a giugno 2015 e non più superato; tetto che oggi costituisce un punto psicologico importante, sottolinea la nota di Consultinvest. Questo movimento di rialzo dei rendimenti è stato innescato da aspettative che indicano una ripresa economica USA più dinamica e soprattutto guidata da deficit fiscali che tornano a salire grazie alla “Trumponomics”: gli USA sono scesi da un deficit pubblico del 9% del PIL post 2008 all’attuale 3,2% e quindi hanno certamente spazio per risalire ancora, nonostante il debito pubblico detenuto dal mercato sia già molto vicino al 80% del PIL. Si è trattato di un movimento di risalita dei rendimenti che potremmo giudicare forte se la sua origine la si dovesse limitare alla sola formazione di aspettative sulla “Trumponomics” (ancora abbastanza povera di dettagli) che dovranno trovare un pari riscontro nei prossimi mesi di gestione Trump. E infatti già qualche analista ritiene che la violenza e la rapidità di questo movimento sia stata eccessiva e che si possa passare ora ad una fase di maggiore stabilità o addirittura di rientro verso tassi più bassi, almeno temporaneamente.

OCCHI PUNTATI SULLA FED – Tuttavia questo potrà accadere solo se la FED questa settimana opterà per un rialzo moderato di soli 25bps dei FED Funds – che è ormai dato per certo – e per una indicazione nei “FED Dots” per gli anni 2017 e 2018 di due soli altri rialzi da 25 bps per anno: rialzi che porterebbero i Fed Funds a 1,75% a fine 2018 dall’attuale 0,5%. In questo modo la FED, optando per un approccio ancora cauto e morbido, allineerebbe i livelli dei “FED Dots” a quelli oggi impliciti nei tassi di mercato, dopo mesi in cui aveva invece sovrastimato le attese di rialzo dei tassi. Se al contrario dovesse passare un messaggio FED più aggressivo, che riveli come vi sia una maggiore propensione alla restrizione monetaria poiché la bilancia dei rischi oggi punta verso una accelerazione nelle prospettive di crescita economica e di un possibile cambio di rotta nella politica fiscale, allora potremmo vedere una maggiore dispersione al rialzo nei “FED Dots” e anticipare rialzi più forti dei 100 bps tra il 2017 e il 2018. In questo caso crediamo che il mercato non giocherà contro la FED – ritenendo come non fattibili i rialzi attesi per il 2016 come ha fatto finora a ragione – e allora il limite del 2,5% di rendimento sul decennale Treasury potrebbe essere facilmente rotto al rialzo. Nel qual caso anche il resto del mondo obbligazionario globale dovrebbe subire contraccolpi, cedendo a nuove pressioni al rialzo che confermerebbero l’inizio di un bear market per il mercato obbligazionario dopo anni di soppressione dei rendimenti, conclude la nota.

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