Investimenti: “Difficile guidare ai limiti e più ancora riconoscerli”

Il primo trimestre del 2024 è stato caratterizzato dal buon andamento dei mercati e dalle prospettive legate all’intelligenza artificiale. La forza dell’economia americana ha fatto sì che gli attesi tagli dei tassi d’interesse siano scivolati in avanti di qualche mese, ma le borse non hanno subito particolari contraccolpi. Le tensioni geopolitiche e le elezioni in calendario continuano a pesare poco sui mercati e la volatilità si mantiene molto bassa. Ci sono molti argomenti che hanno tenuto banco nell’ultimo mese e che vale la pena di discutere. Vorrei soffermarmi in particolare su economia e tassi americani, tecnologia, mercato giapponese e oro.

Gli Stati Uniti continuano a sorprendere e ci si inizia a chiedere se quest’anno ci sarà effettivamente una frenata. La difficoltà di reperire personale, l’aumento degli investimenti in conto capitale e la maggior produttività potrebbero far pensare a un ciclo economico che si protrae più a lungo. In conseguenza, i tagli dei tassi d’interesse attesi da mesi difficilmente cominceranno prima di giugno e alcuni operatori hanno manifestato qualche dubbio anche su ulteriori rinvii.

La crescita statunitense è determinata da alcuni fattori virtuosi, come aver investito moltissimo nella rilocalizzazione di attività produttive e nella tecnologia, ma presenta anche elementi non sostenibili come il deficit pubblico superiore al 6% e il consumo dei risparmi da parte delle famiglie. Alcuni indicatori economici, come il Tracker della Federal Reserve di Atlanta, suggeriscono che la crescita sia già scesa circa al 2% e anche il mercato del lavoro segnala un piccolo rallentamento, con la disoccupazione salita al 3,9%.

Questo quadro è compatibile con una discesa dei tassi a partire da giugno e anche le ultime indicazioni del presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, vanno in questa direzione. Proprio per questo i rendimenti potrebbero ridursi ulteriormente, soprattutto sulla parte lunga della curva.

Per la zona euro i tagli dei tassi sono ancora più urgenti, perché siamo purtroppo in stagnazione da un anno e risentiamo più degli Stati Uniti della guerra in Ucraina e delle tensioni geopolitiche. Inoltre, l’ulteriore riduzione del bilancio della Banca centrale europea e il nuovo Patto di stabilità potrebbero sottrarre ulteriore impulso alla nostra economia. La Banca nazionale svizzera, con una mossa a sorpresa, ha già tagliato i tassi d’interesse sulla base di un’inflazione particolarmente bassa e della forza del franco.

Per questo continuiamo a suggerire di bloccare i rendimenti a medio-lungo termine su obbligazioni investment grade per garantirsi buoni ritorni anche una volta che i tassi saranno scesi. Inoltre, questo tipo di obbligazioni ha una natura anticiclica e le valutazioni potrebbero apprezzarsi qualora le banche centrali accelerassero i tagli dei tassi d’interesse.

Al contrario, detenere molta liquidità rispetto a quella effettivamente necessaria o precauzionale potrebbe influire negativamente sui ritorni di medio termine, perché i reinvestimenti nei prossimi mesi potrebbero avvenire a rendimenti significativamente inferiori.

Il Giappone, reduce da un lungo periodo di depressione economica e deflazione, rappresenta invece un caso a sé stante. La Bank of Japan ha aspettato molto prima di aumentare i tassi e lo ha fatto solo la scorsa settimana per la prima volta dopo 17 anni, ponendo fine al periodo di tassi negativi durato otto anni e con la speranza di aver chiuso il lungo capitolo della deflazione nonostante il debole quadro demografico.

La Borsa giapponese è salita di oltre il 20% da inizio anno ed è la migliore a livello globale. Molto dipende in realtà dalla svalutazione dello yen, di circa il 15% rispetto al dollaro nell’ultimo anno, in considerazione del fatto che l’indice giapponese ha una forte rappresentanza di esportatori che beneficiano di un cambio più competitivo. Sicuramente hanno contribuito anche altri fattori, come la riforma della governance delle società.

A livello globale, nonostante la corsa dallo scorso autunno, le valutazioni del mercato azionario non rappresentano una bolla ma, soprattutto per quanto riguarda la tecnologia, sono certamente impegnative. D’altra parte, proprio la tecnologia potrebbe continuare a essere protagonista nei prossimi mesi: la produzione di nuovi chip per l’intelligenza artificiale spingerà volumi e margini e le aspettative di crescita sono particolarmente promettenti, con utili attesi in aumento del 18%.

Per esempio, il servizio d’intelligenza artificiale di Microsoft viene offerto ai privati con un abbonamento. Se, per ipotesi, la metà dei 400 milioni di utenti di Microsoft 365 decidessero di sottoscrivere questo abbonamento, i ricavi dell’azienda crescerebbero del 30% rispetto al 2023.

Insomma, gli utili del settore tecnologico sono reali e possono cambiare la percezione sulle valutazioni. Ovviamente ci sono molti rischi, che a medio termine riguardano anche la concorrenza e la regolamentazione. A mio avviso, a questi livelli il settore va gestito affidandosi all’asset allocation strategica: uscire troppo presto rappresenta un rischio, mentre per chi è troppo esposto vale la pena di prendere parzialmente profitto.

Ci sono opportunità alternative alla tecnologia, come la transizione energetica, l’innovazione nel campo medico, la gestione delle risorse idriche e le small cap, le società a piccola capitalizzazione. In particolare, le small cap rappresentano l’11% dell’azionario, offrono valutazioni significativamente al di sotto della loro media storica e tipicamente beneficiano in misura maggiore di una riduzione dei tassi d’interesse. Valutazioni elevate e rischi non sempre riflessi nei mercati finanziari ci obbligano a parlare anche di gestione del rischio a fronte di possibili eventi negativi. La posizione sull’obbligazionario investment grade con scadenze medio-lunghe discussa sopra presenta già caratteristiche difensive.

Poi, la statistica ci ricorda di mantenere un’ampia diversificazione a livello geografico e di asset class. La nostra pubblicazione Yearbook, preparata insieme alla London Business School raccogliendo dati sui mercati finanziari a partire dal 1900, mostra che un portafoglio azionario investito su 21 Paesi avrebbe un rischio del 40% inferiore di un portafoglio solo nazionale. Inoltre, un portafoglio ripartito al 60% sull’azionario e al 40% sull’obbligazionario non ha mai sofferto ritorni negativi su un periodo di 10 anni.

Anche se viene già da un periodo molto positivo caratterizzato da forti acquisti (il prezzo è salito del 9% rispetto a un anno fa, in dollari), anche l’oro può dare un contributo per arginare i rischi geopolitici in un periodo caratterizzato da molte elezioni in giro per il mondo e da numerosi focolai, dall’Ucraina al Medio Oriente passando per le tensioni tra Stati Uniti e Cina. Anche se ci aspettiamo che possa raggiungere un prezzo del 5% superiore a quello attuale entro la fine dell’anno, a fronte della forte performance delle ultime settimane aspetteremmo una correzione prima di costruire nuove posizioni.

A cura di Matteo Ramenghi, Chief Investment Officer di UBS GWM in Italia

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