Sciopero taxi: perché tra Uber e i tassisti perde il consumatore

di Emilio Calvano e Michele Polo*

I motivi che hanno portato a costruire il sistema di licenze per i taxi non sussistono più. Ma aumentarne il numero o tollerare i servizi abusivi equivale a una patrimoniale per i tassisti di oggi. Come risolvere la questione? Le soluzioni possibili sono varie, non tutte a favore dei consumatori.

Perché i taxi sono a numero chiuso

Il 26 maggio il tribunale di Milano ha disposto il blocco dell’app Uberpop per “concorrenza sleale” e “violazione della disciplina amministrativa che regola il settore”. Uber è un’azienda che consente a chiunque che sia in possesso di un’autovettura e abbia alcuni requisiti minimi (patente di guida e mini corso di formazione) di trasformarsi di fatto in un conducente a chiamata. La decisione del giudice considera Uber come una infrazione al sistema delle licenze, sistema che è apertamente progettato per mettere il servizio taxi al riparo dalla concorrenza.
Val la pena allora di chiedersi se tale sistema sia giustificato e come affrontare i nuovi problemi posti dall’entrata di Uber.
Finora tra gli obiettivi di pubblico interesse spiccano: la protezione del consumatore, l’incentivo agli investimenti, la riduzione delle emissioni e della congestione del traffico. Se questi sono i motivi, allora il numero chiuso non ha più motivo di esistere.
Riguardo alla protezione del consumatore, i nuovi servizi adottati da Uber hanno di fatto superato il problema. In un paio di click si può visualizzare il giudizio di tutti i clienti precedenti del conducente in arrivo e valutarne la professionalità meglio di quanto possa far il regolatore pubblico. Paradossalmente, gli abusivi hanno più incentivo dei taxi bianchi a non “maltrattare” i clienti. Provare per credere (“la musica è troppo alta? La temperatura va bene? Le spiace se abbasso il finestrino? Ha un percorso preferito o faccio io?”).
La seconda motivazione si basa sulla falsa premessa che aumentare i ricavi dei titolari di licenza spinga a re-investirne una parte in qualità del servizio. Lo sanno bene le regioni e gli enti locali che con il tempo hanno imparato a condizionare gli adeguamenti tariffari al “raggiungimento di obiettivi” quali la “lingua inglese,” la “correttezza del percorso”, o la disponibilità di sistemi di pagamento elettronico.
Infine, i problemi di congestione si riferiscono a un periodo storico in cui i taxi si sostituivano ai mezzi pubblici. Nelle nostre città, milioni di persone usano l’auto privata proprio perché non possono permettersi il servizio taxi e non sono serviti dai mezzi di trasporto pubblici.

L’interesse dei tassisti e quello dei consumatori

Il contingentamento nel numero di licenze ha di fatto trasformato quelle esistenti in fonti di rendita protette per chi le possiede, una sorta di Tfr. Un rapporto di qualche anno fa della Banca D’Italia snocciola cifre che vanno dai 50-60mila ai 300mila euro per l’acquisto di una licenza sul mercato secondario.
La questione Uber evidenzia due interessi concorrenti: quello dei tassisti a estrarre la rendita attesa nel momento in cui hanno acquistato la licenza e quello (diffuso) dei consumatori ad accedere a un servizio a prezzi e modalità ragionevoli.
Il problema, da questo punto di vista, è l’ampia fetta di popolazione tagliata fuori da quello che è in tutto e per tutto un servizio di pubblica utilità. UberPop, i servizi di car sharing e ride sharing, appagando di fatto il bisogno di mobilità, sono indirettamente prova dei malfunzionamenti diffusi in questo mercato. I taxi sono cari e troppo spesso introvabili nelle ore di punta. Quanto a qualità, il servizio abusivo di Uber è oggettivamente migliore sotto tanti importanti aspetti. Già da diversi anni, consente di chiamare un autista con un click (niente attese), vederlo arrivare sullo smartphone in tempo reale (no ansia), valutare il servizio, pagare senza neanche mettere una mano in tasca e ricevere una ricevuta elettronica sulla propria casella di posta (alzi la mano chi non ha mai perso una ricevuta o dimenticato di chiederla). Se mai i tassisti si adegueranno a questi standard qualitativi, lo dovremo alla minaccia concorrenziale e non certo alla loro generosità (con tariffe fisse e numeri garantiti per quali altri motivi dovrebbero investire?)
D’altra parte, aumentare il numero di licenze o tollerare servizi abusivi equivale a una patrimoniale a carico dei detentori di licenze. Con una evidente iniquità: verrebbe tassato solamente l’attuale detentore della licenza, non quello da cui questi l’ha acquistata a caro prezzo.
Come se ne esce? Si possono formulare varie proposte, con gradi diversi di realizzabilità:

– utopica: ricomprare tutte le licenze ai prezzi medi di compravendita degli ultimi anni e liberalizzare integralmente il mercato;
– concreta (già sperimentata a Bologna nel 2008): vendere nuove licenze e devolvere il ricavato agli attuali possessori;
– fattibile: se è vero che vi è molta domanda di mobilità insoddisfatta, liberalizzare integralmente il mercato e usare l’extra gettito fiscale che deriva dalla sua espansione per finanziare un fondo di solidarietà per i detentori di licenze;
-politica: fare prevalere un interesse sull’altro: privare (espropriare) i tassisti delle loro rendite o gli utenti di un servizio.

*pubblicato il 4 giugno 2015 su www.lavoce.info

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