Il nuovo mondo con tassi di interesse negativi

A cura di Maxime Alimi e il team di Research & Investment Strategy, Axa Im
La correzione dei mercati all’inizio del 2016 ha avuto diverse cause, tra cui la percezione di impotenza delle banche centrali. Dopo sette anni caratterizzati dalla politica dei tassi di interesse a zero e da provvedimenti non convenzionali, la crescita globale resta stagnante e l’inflazione è inferiore al target nella maggior parte dei paesi. In tale scenario, diverse banche centrali hanno iniziato ad adottare tassi di interesse negativi. Non ci è dato di sapere se si tratta dell’ultima mossa disperata di funzionari che non riescono a rispettare il loro mandato oppure di una brillante innovazione politica, fatto sta che ha avviato un animato dibattito.
Ad ogni modo è probabile che il pessimismo del mercato dipenda dalla cronologia con cui sono state introdotte le politiche delle banche centrali dopo la crisi finanziaria, per cui i tassi di interesse in territorio negativo sono apparsi la quarta opzione migliore dopo il taglio dei tassi a zero, il Quantitative Easing e la forward guidance. Questo nonostante numerosi studi accademici sui tassi di interesse negativi fossero già disponibili dal 1916 con l’economista tedesco Silvio Gesell.
L’analisi costi-benefici dei tassi negativi è importante a fronte di un periodo prolungato di politica monetaria estremamente accomodante. Se l’economia subirà un altro shock che renderà necessario un nuovo allentamento monetario, le direzioni che si potranno intraprendere sono diverse:
1. Fissare il target inflazionistico a un livello più alto oppure adottare come target un certo livello dei prezzi;
2. Ampliare le politiche non convenzionali con un nuovo QE, la monetizzazione esplicita del debito o la sua versione più estrema, il cosiddetto “helicopter money”;
3. Spingere i tassi di interesse al di sotto della soglia minima.
Una analisi approfondita di tutte e tre le opzioni va oltre i confini di questa pubblicazione; noi ci concentreremo sull’ultimo aspetto. Ma per tutte queste strategie si conviene in genere che i vantaggi diventano evidenti più rapidamente dei costi e rischi. Di conseguenza, è fondamentale la rapidità di attuazione, effetto e uscita, fino a riportare l’economia alla normalità dove si può ricorrere allo strumento più auspicabile, ovvero i tassi di interesse positivi.
Come uscire da queste politiche è probabilmente l’anello debole delle strategie che intervengono sullo stato patrimoniale e il QE; le exit strategy sono lunghissime e inesplorate, per cui ci si domanda se sia preferibile o no un intervento rapido e più aggressivo rispetto a decenni di politiche non convenzionali più graduali.
Cosa rende speciale la politica dei tassi di interesse negativi? Prima di tutto, i tassi di interesse negativi sono un’estensione della politica tradizionale di intervento sui tassi di interesse che presenta gli stessi vantaggi per l’economia di un taglio dei tassi: fa scendere i tassi di interesse a breve e medio termine, fa deprezzare la valuta e fa salire i prezzi degli strumenti finanziari. Tagliando i tassi di interesse sotto lo zero subentrano però due fattori rilevanti che contraddistinguono questo intervento da un normale taglio dei tassi:
1. A meno che non vengano prese misure aggiuntive, gli agenti economici possono realizzare un arbitraggio sui tassi di interesse negativi detenendo denaro fisico, con un rendimento pari a zero.
2. L’inversione di rotta dei flussi di cassa tra creditore e debitore ha conseguenze psicologiche, legali, operative, sociali e fiscali.
Questi effetti non lineari ci portano ad esplorare la politica dei tassi negativi come un sistema diverso dai tassi pari a zero. Un primo ostacolo operativo è rappresentato dal fatto che il regime dei tassi negativi probabilmente non inizia appena i tassi di interesse scendono al di sotto dello zero. Questo perché gli agenti economici passano al contante solamente dopo aver preso in considerazione i costi di deposito, custodia, trasporto e convenienza. È una valutazione diversa da agente ad agente, pertanto la soglia minima effettiva è stimata intorno al -1%, con grandi elementi di incertezza.
Dalla metà del 2014 sono cinque le economie che hanno introdotti i tassi di interesse negativi (Svizzera, Danimarca, Svezia, Eurozona e Giappone), ma nessuna ha portato i tassi al di sotto del -0,75%. Quindi, è probabile che i tassi non siano ancora scesi al di sotto della soglia minima effettiva.
Il QE dovrebbe essere utilizzato per finanziare un aumento della spesa pubblica (Chris Iggo, Cio Fixed Income, Axa Im). In un mondo caratterizzato da un debito estremamente alto, la crescita (nominale) della domanda aggregata non è sufficiente a ridurre il rapporto di indebitamento. La politica ha reagito abbassando i tassi di interesse al di sotto della crescita reale nella speranza di stimolare un aumento della domanda aggregata che riduca il debito. Ma a mio giudizio l’alternativa più interessante per alimentare la domanda aggregata è di lasciare il tasso di interesse invariato e aumentare il tasso di equilibrio, aumentando la spesa pubblica finanziata dal debito.
In pratica, un aumento della spesa pubblica finanziata attraverso il QE potrebbe avvenire con la creazione di un debito pubblico nelle mani delle banche centrali in cambio di un aumento delle riserve monetarie. Gli effetti moltiplicatori dipenderebbero dalla spesa fiscale, ma la banca centrale avrebbe la facoltà di riversare periodicamente sul mercato il debito pubblico in suo possesso per soddisfare la domanda di titoli a lunga scadenza, assicurandosi che i vantaggi derivanti da un aumento degli investimenti nell’economia vengano distribuiti ai pensionati. D’altra parte i tassi negativi hanno effetti collaterali negativi, anche se non scardinano la logica economica (impatto sulle banche, reddito dei risparmiatori, più denaro contante e meno depositi bancari, rischi politici se si cerca di eliminare o limitare la distribuzione di contanti per “tassare” in modo più efficace i depositi).
Il calo dei prezzi è un fattore così negativo? I tassi negativi aprono delle opportunità (Mark Tinker, Head of Axa Framlington Asia, Axa Im). Se i prezzi scendono per un eccesso di offerta rispetto alla domanda, in che modo un aumento della liquidità può aiutare? Le banche centrali non creano credito ma liquidità e (certamente) il loro mandato prevede anche che monitorino attentamente in che modo questa liquidità viene trasformata in credito.
Se il credito viene creato solo all’interno dei mercati finanziari c’è il rischio che la cura faccia peggiorare il paziente. In questo momento, le politiche monetarie stanno spingendo gli investitori verso il mercato immobiliare anche se i canoni di locazione sono in calo, semplicemente perché non c’è un’altra forma di rendimento “sicuro”. E se i politici mettessero in dubbio la certezza che il calo dei prezzi è un fattore negativo? Per le imprese o i consumatori non indebitati (giovani affittuari) la deflazione non viene vista come una minaccia, e sono riluttanti a indebitarsi, lo stesso vale per i risparmiatori.
Se ammettiamo quindi che le obbligazioni non sono utili al risparmiatore, perché non emettere grandi quantità di obbligazioni con un rendimento negativo e rimborsare tutte quelle con un rendimento positivo? Gli interessi pagati attualmente sul debito pubblico potrebbero essere reincanalati negli stimoli fiscali. O meglio, perché non emettere obbligazioni perpetue a cedola zero e farle acquistare tutte dalle banche centrali? Si potrebbero emettere anche obbligazioni infrastrutturali semi-pubbliche garantite da ipoteca, ma tassando il turnover e imponendo altre limitazioni per impedire che diventino strumenti negoziabili.

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