È ora di tornare a guardare ai mercati emergenti?

A cura di Natixis Global AM

Nel periodo precedente le Olimpiadi di Rio de Janeiro, il mercato azionario brasiliano (BOVESPA) è stato uno dei migliori al mondo, registrando un rendimento di oltre il 50% da inizio anno al 31 luglio. In generale, nel 2016 i titoli azionari dei mercati emergenti, in base all’MSCI Emerging Markets Index, hanno superato lo S&P 500. E le obbligazioni dei mercati emergenti, in base al J.P. Morgan Emerging Markets Bond-plus Index (EMBI+), hanno reso oltre il 10% fino al mese di luglio. Dopo anni di performance poco entusiasmanti, qual è il motivo di tale inversione di rotta dei mercati emergenti? E quanto potrebbe durare? Alcuni esperti di investimenti azionari, obbligazionari e valutari sui mercati emergenti di Natixis Global Asset Management riflettono su tale ripresa, sulle opportunità di crescita e rendimento e sui fattori di rischio.

“Spesso si torna a parlare di mercati emergenti – afferma Antonio Bottillo, Country Head ed Executive Managing Director per l’Italia di Natixis Global AM. Il nostro approccio alla costruzione di portafoglio parte, anche in questo caso, dall’analisi dei rischi e delle opportunità di ognuno di essi grazie alla presenza di diversi esperti degli investimenti specializzati su tali aree. Questo ci permette di avere non solo diverse view su specifici paesi, ma anche di poter approcciare tali mercati con diverse strategie di investimento. Diversificare, non solo in termini geografici e di asset class, ma anche con diverse metodologie e stili di gestione, può aiutare a costruire un portafoglio più robusto in grado di affrontare diversi scenari di mercato”.

Stéphane Mauppin-Higashino, Head of Emerging Markets Specialist Emerise. Negli ultimi quattro anni almeno, abbiamo (giustamente) mantenuto un outlook negativo in relazione ai mercati azionari dei mercati emergenti (EM) rispetto a quelli dei mercati sviluppati (DM). Tuttavia, recentemente, abbiamo iniziato ad adottare una visione più costruttiva sulla scorta di molteplici segnali di ripresa sui mercati emergenti in termini di crescita dell’economia, redditività aziendale e accelerazione degli utili.

Sul fronte macro, la crescita complessiva del prodotto interno lordo (PIL) negli EM sembra attestarsi intorno a +4,5% per il 2016/17 (rispetto a +1,7% per i DM), e tale divario potrebbe aumentare a favore degli EM nei prossimi anni. Al contempo, il nostro indice sintetico PMI (Purchasing Managers’ Index) è migliorato regolarmente negli ultimi mesi, raggiungendo il valore di 49,8 a luglio, vicino alla soglia di espansione. Sul fronte monetario, molti paesi emergenti stanno ancora attraversando una fase di politica monetaria accomodante, che ha visto il succedersi di 35 tagli dei tassi di interesse nel corso degli ultimi 18 mesi, imprimendo un forte impulso alle relative economie.

Sul fronte valutario, dopo aver perso quasi il 10% in media nel 2015 (e oltre il 20% in alcuni casi come la Colombia, il Sud Africa o il Brasile), sembra che le correzioni delle valute dei mercati emergenti contro il dollaro USA e l’Euro siano ormai alle nostre spalle, consentendo ai paesi e alle aziende di riprendere fiato in termini di margini e competitività delle esportazioni. Infine, per la prima volta in molti anni, le stime sugli utili per azione (EPS) hanno cessato di essere riviste al ribasso e stanno perfino iniziando a migliorare: a luglio abbiamo assistito alle prime stime positive sugli utili (+0.8%) avvenute in molti anni.

Prezzi nella media, utili interessanti Attualmente, il livello dei prezzi è neutrale per gli EM, in linea coi livelli storici, con un P/E a 12 mesi pari a circa 12 volte gli utili. Tuttavia, come accennato sopra, le stime degli utili per azione si sono stabilizzate, mentre i mercati sviluppati appaiono relativamente costosi (P/E a 12 mesi pari a 16,5 volte gli utili) e presentano maggiori incertezze in termini di crescita e, potenzialmente, di utili. Di conseguenza, l’equilibrio di rischio tra prezzi/utili sta diventando sempre più interessante per gli EM.

Outlook per la Cina La situazione macro della Cina rimane complessa, col rapporto Debito/PIL ancora al di sopra del 200%, mentre prosegue il riequilibrio dell’economia del paese. Nonostante i deboli dati del primo trimestre sulla crescita del PIL (6%), gli indicatori più recenti mostrano una modesta ripresa, con stime di crescita del PIL che si attestano intorno al 6,5-7% per il 2016. Tale ripresa dell’attività economica riflette l’effetto positivo delle misure di politica fiscale e monetaria accomodanti messe in atto a partire dalla seconda metà del 2015. Anche il mercato immobiliare sembra essere in ripresa, non solo nelle città principali ma anche in quelle secondarie. Infatti, a partire dall’inizio dell’anno è stato registrato un discreto aumento degli investimenti immobiliari. In Cina, tendiamo a favorire i temi di crescita nel settore della tecnologia, nel comparto industriale, nel settore immobiliare e dei beni voluttuari. Le aree meno interessanti sono: energia, telecomunicazioni, beni di prima necessità, servizi pubblici e materiali.

L’impatto economico delle Olimpiadi sul Brasile Vi è un’abbondanza di studi “sell-side” sui potenziali effetti positivi per l’economia di importanti eventi internazionali come le Olimpiadi o la Coppa del Mondo di Calcio. Tuttavia, mancano conclusioni chiare su quelli che sono i benefici a lungo termine per i paesi che ospitano tali eventi. Inoltre, nel 2014 il Brasile aveva già ospitato la Coppa del Mondo FIFA e quindi gran parte delle infrastrutture erano già state costruite, non solo a Rio ma in tutto il paese. Nel 2014, il PIL del Brasile era quasi invariato (crescita del PIL pari a +0,1%); la moneta del paese, il real, scese di oltre il 10% contro il dollaro USA. Quest’anno, le Olimpiadi si sono svolte a Rio nel mezzo di una grave crisi economica e politica: secondo le stime, il PIL dovrebbe scendere di oltre il 3% nel 2016, e non riteniamo che le Olimpiadi possano incidere in modo significativo.

I fattori di rischio nei mercati emergenti Una delle nostre maggiori preoccupazioni legate ai mercati emergenti rimane attualmente il problema del credito. Negli ultimi cinque anni, il credito è cresciuto in maniera eccessiva, specialmente in paesi come la Turchia, la Thailandia e la Cina, mettendo i consumi, gli investimenti e i margini aziendali a rischio nel caso di un rallentamento dell’economia. In Cina, sebbene l’espansione del credito abbia contribuito ad attenuare gli effetti derivanti dal riequilibrio dell’economia, il credito interno (come % del PIL) sta raggiungendo livelli record: oltre il 200% rispetto a circa il 150% di soli cinque anni fa.

Peter Marber Head of Emerging Markets Investments Loomis, Sayles & Company A fronte della recente ripresa dei prezzi degli asset rischiosi, i mercati emergenti appaiono ancora poco costosi rispetto ai mercati sviluppati. Le valute degli EM sono ancora sotto del 35% rispetto ai recenti picchi pluriennali, il livello del prezzo su valore di libro (P/B) e dell’utile per azione (P/E) dei titoli azionari EM è anch’esso ai minimi pluriennali, e le obbligazioni dei mercati emergenti continuano ad essere significativamente poco comprese. In effetti, in un’ottica ponderata in base al rischio, le obbligazioni corporate degli EM potrebbero attualmente rappresentare una delle asset class più interessanti al mondo.

I tassi di default a lungo termine delle aziende dei paesi emergenti sono stati sorprendentemente bassi negli ultimi 15 anni. Eppure, sulla base di metriche comuni sul livello di indebitamento, le società investment-grade basate nei paesi emergenti hanno pagato il 50-70% in più di spread creditizio rispetto a società statunitensi analoghe e quasi il 100% in più nel segmento high-yield.

Rendimenti interessanti per le obbligazioni corporate con duration breve In questo periodo eccezionale in cui le politiche di tassi di interesse negativi e di tassi di interesse a zero (NIRP e ZIRP) dei principali paesi industrializzati hanno decimato il segmento a breve della curva dei rendimenti, le obbligazioni con duration breve degli EM denominate in dollari statunitensi offrono rendimenti interessanti senza comportare un notevole rischio duration o di credito. Ad esempio, le obbligazioni corporate dei mercati emergenti con duration 2-3 anni offrono rendimenti annualizzati del 3-4% per i pool investment-grade.

Con qualche sforzo, si possono individuare tali opportunità nell’ambito del credito corporate in oltre 60 paesi emergenti. In realtà, la loro qualità del credito potrebbe essere migliore rispetto a quanto indicato dai relativi rating. Le agenzie di rating utilizzano il metodo del “sovereign ceiling”, il che significa che il rating di una società basata in un paese emergente non può essere maggiore del rating del relativo titolo di stato, anche ove il bilancio della stessa indicherebbe un rating superiore. E, come indicato sopra, il credito emergente potrebbe perfino costituire un’asset class “value” che offre uno spread a basso costo se rapportato ai rischi effettivi di default.

Revisione del debito nei mercati emergenti Il rimbalzo globale dei prezzi delle commodity, iniziato nel primo trimestre del 2016, ha contribuito a spingere i prezzi degli asset emergenti per tutto il secondo trimestre del 2016. Inoltre, l’indebolimento del dollaro statunitense provocato dai ridotti timori sui rialzi dei tassi da parte della Fed, ha contribuito al rafforzamento delle valute emergenti e alla riduzione degli spread creditizi. La ricerca globale di rendimento, con tassi di interesse negativi in Giappone e in alcune parti d’Europa, ha inoltre contribuito a spingere in basso i tassi di interesse in tutto il mondo. Il Brasile è stato il miglior performer in relazione ai benchmark su valute e credito: i prezzi degli asset si sono nettamente ripresi dal tracollo di fine 2015 legato allo scandalo di corruzione nazionale.

Bruno Crastes CEO, Global Macro Strategist H2O AM Recentemente abbiamo modificato il nostro approccio nei confronti dei mercati emergenti, spostandoci da un outlook “da negativo a neutro” ad uno “da neutro a positivo”. Non fraintendetemi: non siamo diventati degli incalliti rialzisti sugli asset emergenti.

Riteniamo, però, che l’ultima netta correzione macro per gli EM sia ormai alle spalle. Inoltre, il differenziale di crescita rispetto alle economie sviluppate dovrebbe stabilizzarsi, sebbene sia improbabile che replicherà la netta ripresa degli EM dei primi anni 2000 – quando si è verificata una forte crescita della Cina e un trend secolare di miglioramento dei bilanci societari dei paesi emergenti. Tuttavia, i segnali di stabilizzazione sono il primo passo in quello che sarà un lungo processo di guarigione.

L’inizio della seconda fase della ripresa Ci troviamo ancora davanti ad un paziente malato. Tuttavia, nella seconda fase del processo di guarigione, le performance dovrebbero essere meno unilaterali. Rimbalzi netti come quelli intervenuti dopo l’iniziale sell-off di inizio 2016, potrebbero diventare più frequenti a fronte del livello più interessante dei prezzi. Terminata la prima fase del processo di ripresa (caratterizzata da un sell-off indiscriminato), stiamo entrando ora in un mondo in cui i maggiori fattori trainanti per i mercati emergenti – come i prezzi delle commodity e i timori sulla crescita cinese – hanno raggiunto il punto più basso. Ciò non significa che assisteremo ad un rimbalzo netto ma, quando parliamo di variabili macro, la stabilizzazione è il primo passo per riequilibrare una fase di deterioramento.

La ripresa valutaria La buona notizia è che, nell’arco di un ciclo tradizionale di investimento della durata di tre-cinque anni, i mercati emergenti sembrano ora essere in condizioni tali da poter generare performance annuali positive. Il carry (il currency carry trade è una strategia di investimento a lungo termine implementata principalmente da grandi investitori istituzionali) è la prima fonte di performance più stabili. Con circa il 6-7% di rendimenti nel debito estero e in valuta locale degli EM a far data 31 luglio, riteniamo che ciò compensi i potenziali rischi. In secondo luogo, dopo aver seguito a ruota il brusco calo dei prezzi delle commodity, le valute emergenti sono state oggetto di una forte correzione. Nella prima parte del 2016, i tassi di cambio effettivi reali dei principali paesi emergenti sono tornati ai livelli del 1998/2000. Cosa dobbiamo aspettarci ora? Il periodo post 1998 è stato dominato da movimenti erratici, ma ha segnato la fine di un fallimento provocato dalla crisi finanziaria asiatica/russa. I mercati emergenti hanno poi attraversato una lunga e costante fase di apprezzamento innescata dal boom delle commodity, a partire dal 2000 fino alla crisi mondiale del 2008. Oggi è difficile prevedere cosa accadrà, ma tendiamo a sposare l’idea che la correzione maggiore sia ormai alle spalle per gran parte delle valute emergenti.

L’aumento dei tassi da parte della Fed è diventato un fattore meno importante Il ritmo degli aumenti dei tassi da parte della Fed è stato più lento, a dir poco, di quanto previsto. Tuttavia, è chiaro che i tassi di interesse statunitensi aumenteranno nei prossimi due anni e forse molto più di quanto sia attualmente previsto dagli investitori. Con la graduale incorporazione di tale aumento dei tassi, i mercati del reddito fisso globale, compresi gli EM, si troveranno a dover affrontare nuove sfide. In tutta probabilità, gli investitori dovranno navigare nei mari di una rinnovata volatilità. Tuttavia, contrariamente al passato quando i rimbalzi dei mercati EM innescavano un periodo favorevole alla vendita, riteniamo che i ribassi degli EM offrano ora opportunità di acquisto. Di conseguenza, il nuovo motto per investire nei mercati emergenti dovrebbe diventare “acquisti selettivi sulle debolezze.

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