Non solo ombre sul mercato, soprattutto se il petrolio scende…

L’ultima settimana di luglio, in attesa del mese di agosto tradizionalmente molto volatile a causa della limitata liquidità, è stata contraddistinta ancora da un calo della volatilità sulle principali asset class.
Questo fenomeno “fisiologico” dopo oltre 2 mesi di volatilità su nuovi massimi, permette agli investitori di “ragionare” maggiormente sui fondamentali del mercato.
Al di là di una maggiore o minore propensione al rischio, vi sono infatti anche dei valori teorici dei diversi asset, che sovente negli ultimi trimestri nel bene o nel male sono stati disattesi.
Il petrolio, che continua ad essere il filo conduttore delle altre asset class, rimane debole.
Il range $120-125 potrebbe durare in attesa di una direzione definitiva.
Il poderoso calo della domanda di prodotti petroliferi dei paesi industrializzati, nel momento in cui dovesse essere chiaro che l’eliminazione dei sussidi potrebbe avere l’analogo effetto anche nei paesi emergenti (la Cina tra tutti), porterebbe ad un forte squilibrio sul lato dell’offerta.
A livello teorico perciò propenderemmo per un ulteriore calo, anche se le tensioni dell’Iran con Israele e gli Stati Uniti rimangono un forte propellente per il prezzo del petrolio.
Il dollaro ancora ben decorrelato dal petrolio (anche se il legame inverso si è allentato rispetto agli scorsi trimestri), ha recuperato fino quasi a 1,55 contro euro.
Anche qui la questione è aperta.
Le motivazioni per un ulteriore indebolimento dell’euro (non abbiamo detto rafforzamento del dollaro…) ci sono tutte… è importante nondimeno che il petrolio non ricominci a salire.

I dati macroeconomici usciti in settimana sono essenzialmente neutri negli Stati Uniti (GDP del secondo trimestre inferiore alle stime ma con un deflattore molto migliore; consumer confidence di luglio migliore delle attese), negativi in Europa (crollo delle vendite al dettaglio in Germania).
Gli indici azionari nell’attuale contesto recuperano fiducia mantenendo i recenti massimi, nonostante diversi tentativi di discesa in giornata.
L’umore degli investitori è infatti ancora negativo, così come rimangono molti punti interrogativi.
Negli Stati Uniti tuttavia l’intervento della Fed (che sta lasciando fallire le piccole banche poco solvibili) a favore di Fannie Mae e Freddie Mac e delle grandi banche di investimento sta rasserenando poco a poco il mercato.
Continuano le richieste di nuove immissioni di capitale (Merril Lynch) e situazioni preoccupanti (Ubs perseguita negli Stati Uniti) ma tuttavia questo dovrebbe essere già scontato dal mercato.
Le trimestrali sono miste ma lasciano trasparire un eccesso di pessimismo nelle stime.
Si sta perciò verificando la nostra ipotesi per cui le sorprese positive superano nettamente quelle negative.
Anche il credit spread sta dando qualche segnale di recupero.
Bonds societari con spread sui governativi molto superiori alla media, soprattutto a fronte di un indebitamento sostenibile, possono essere una ottima soluzione per avere rendimento con rischi sensibilmente inferiori rispetto all’investimento azionario.

Continua infine il recupero del reddito fisso.
Per quanto i tassi a 10 anni negli Stati Uniti dovrebbero a nostro avviso essere più elevati del 3,98% attuale, il calo del petrolio e delle materie prime in generale toglie a breve parte delle pressioni di vendita.
Maggiore equilibrio invece in Europa, dove a fronte di pressioni inflazionistiche (il tasso di sconto al 4,25% comunque è abbastanza elevato) c’è anche un palese rallentamento della congiuntura.
Facciamo quindi fatica ad ipotizzare nell’attuale contesto una politica restrittiva della BCE.
Le scadenze brevi e il tasso variabile (soprattutto se è legato all’Euribor) sono comunque a nostro avviso ancora da preferire.

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