Gli hedge non possono distruggere il mondo

E sulla crisi? «Gli hedge fund non sono la causa di tutti i mali» risponde Giannico che agli inquisitori manda un messaggio chiaro: gli «non hanno un volume tale per distruggere il mondo».
 
Le chiusure dei fondi hedge sono aumentate notevolmente negli ultimi mesi. Stiamo assistendo a una sorta di selezione naturale dell’industria?
Stiamo parlando di un’industria inflazionata. Oggi si contano nel mondo oltre 10.000 hedge fund, e probabilmente non tutti offrono quella qualità di gestione che in un settore così sofisticato è necessario avere. 
Per questo credo che la selezione sia un bene, anche se accellerata dall’attuale crisi finanziaria. 
Non dobbiamo però dimenticare che le modifiche alle regole introdotte con l’acuirsi della crisi (come il divieto di vendere allo scoperto) non hanno facilitato l’attività degli hedge fund che si basano proprio su determinati strumenti finanziari.
In questa situazione la selezione viene ulteriromente accentuata. La crisi sta accellerando i riscatti e temo che le condizioni di mercato determineranno la chiusura anche di hedge di qualità.
 
I divieti da lei citati sembrano essere il primo passo di una politica sempre più decisa a regolamentare l’industria. E’ davvero necessario introdurre nuove norme per gli hedge fund?
Personalmente non condivido i giudizi di chi accusa gli hedge di essere il male principale di questa crisi. 
Delle nuove regole sicuramente sono necessarie, ma non solo per gli hedge fund. 
Su questi ultimi ci vogliono maggiori vincoli rispetto alla situazione attuale, ma non dobbiamo ingessare l’industria. Gli hedge non sono la causa di tutti i mali.


E l’industria cosa potrebbe fare per evitare di essere “ingessata”?
L’industria dovrebbe proporre un’autoregolamentazione. Questa potrebbe essere un’iniziativa utile per tracciare una strada da seguire per il futuro. In generale per gli hedge è fondamentale aumentare la trasparenza. 
Gli hedge fund devono pubblicizzare le regole che già hanno e quelle che avranno. Ma devono anche spiegare i limiti di questi strumenti. Non hanno un volume tale per distruggere il mondo, come qualcuno vuol far credere. 
Gli hedge oggi devono fare cultura ma anche comunicazione. E soprattutto devono avere il coraggio di applicare effettivamente le strategie che dichiarano.
 
In Italia si inizia a parlare di una soglia di investimento più bassa rispetto ai 500.000 euro attuali. C’è anche chi ha parlato di 25.000 euro. Qual è il suo parere a riguardo?
Gli investitori privati di livello affluent non sempre hanno le competenze per investire in hedge fund. 
Per questo ritengo che oggi la soglia di 250.000 euro potrebbe essere ancora considerata adeguata sia per gli istituzionali, sia per i grandi investitori privati. 
Una soglia differente rischia di trasformare gli hedge in un prodotto “da sportello”. 
Si corre il rischio di avvicinare gli hedge fund a soggetti dotati di una cultura finanziaria non idonea. 
In generale, la sensazione è che la proposta dei 25.000 euro formulata finora si basi soprattutto sull’analisi delle esigenze dell’industria del risparmio gestito, che continua ad attraversare una fase di profonda crisi. 
Non leggo nella proposta una consapevolezza delle peculiarità dell’industria degli hedge fund. 
 
Quindi si continua a ragionare con logiche di puro marketing. L’obiettivo ultimo continua a essere quello della vendita?
In questi anni il marketing ha sicuramente prevalso sulla cultura finanziaria. Molti operatori hanno preferito seguire una strategia basata solo sulla vendita del prodotto e non sull’aspetto strettamente contenutistico. 

Non solo. Mentre i messaggi di vendita si focalizzavano sugli effetti delle strategie, nella realtà non sempre il venduto corrispondeva all’effettiva gestione.  

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