Il business delle infrastrutture green

“Investiamo nelle infrastrutture rinnovabili, operando quindi in un segmento di mercato attiguo a quello degli altri private equity, ma con una grande differenza: l’orizzonte temporale. Il nostro è infatti tipicamente più lungo a causa della tipologia di investimenti: invece dei 5-7 anni consueti, lavoriamo sui 10-15 anni”. Così Diego Biasi, amministratore delegato e co-fondatore nel 2010 di Quercus Investment Partners che, con sedi in Italia, Regno Unito e Lussemburgo, è diventato uno dei principali fondi europei specializzati nelle energie rinnovabili.

 

Altre peculiarità del vostro business?

Una, fondamentale: mentre un fondo di private equity punta a un guadagno in conto capitale, il nostro obiettivo è generare flussi di cassa. I nostri vogliono avere dividendi periodici. Il nostro obiettivo è quello di distribuire flussi di cassa con cadenza semestrale e soprattutto stabili per 10-15 anni, con un rendimento che si mantiene sopra l’8%.

 

Quanti fondi avete?

Negli anni ne abbiamo costituiti cinque. Due sono già completamente investiti e sono quindi chiusi, mentre tre sono ancora attivi e stanno investendo tuttora. Puntiamo a raccogliere ancora 200-300 milioni di euro. Complessivamente abbiamo raccolto negli anni 350 milioni di euro che abbiamo trasformato in un totale di investimenti per oltre 1,1 miliardi di euro sia direttamente, sia tramite accordi di partnership, ad esempio con Swiss Life che in Italia investe insieme a Quercus.

 

In cosa consistono i vostri investimenti?

I fondi in passato hanno investito in nuove costruzioni e ora stanno continuando a farlo in impianti già esistenti e operativi. Dal punto di vista geografico siamo presenti storicamente in Italia e Regno Unito, poi in due Paesi dell’Europa dell’Est quali Bulgaria e Romania e più di recente in Spagna. In un prossimo futuro contiamo di espanderci anche in Portogallo e Francia.  I nostri ambiti sono essenzialmente due: solare ed eolico. In Italia siamo tra i primi cinque produttori di elettricità proveniente da fonti rinnovabili e in Inghilterra siamo tra i primi dieci. Allo studio abbiamo inoltre un altro progetto ambizioso.

 

Quale?

È dedicato alla grid parity, cioè a impianti in assenza di incentivi, una sfida possibile grazie all’evoluzione tecnologica e di mercato, oltre al diverso contesto normativo, molto più restrittivo del passato sul fronte dell’intervento pubblico.

Con l’avvento della grid parity si inizieranno a costruire nuovi impianti e anche da parte nostra torneremo ad investire su infrastrutture nuove.

 

Meglio l’eolico o il solare?

Le due tecnologie hanno rendimenti simili, ad esempio in Italia sono entrambe attualmente intorno all’8%. Da parte nostra non abbiamo preferenze e il nostro portafoglio infatti è investito in misura abbastanza equivalente per entrambe le rinnovabili. Contiamo di mantenere le stesse proporzioni anche in un prossimo futuro. La differenza principale tra le due sta nel fatto che il solare è più frammentato e la capacità installata è decisamente minore rispetto a quella eolica, si parla mediamente di impianti da 1 a 10 MW nel solare e da 25 a 50 MW per l’eolico.

 

Altre tecnologie come quelle di produzione di energia dalle maree?

Per ora non sono nelle nostre intenzioni, ma in ogni caso anche in futuro puntiamo ad investire solo in tecnologie mature.

 

Chi sono i vostri investitori?

Sono quasi tutti operatori istituzionali. I nostri fondi sono dedicati a investitori di lungo termine come fondi sovrani, assicurazioni, fondi pensione, fondazioni bancarie. Il motivo è chiaro: si tratta di operatori con orizzonti temporali di lungo termine. Questi soggetti tipicamente devono far fronte ad importanti flussi di cassa in uscita e per questo hanno l’obiettivo di allocare una parte del portafoglio in asset class che generano flussi stabili.

 

E come si dividono dal punto di vista geografico?

Al momento abbiamo il 70% dei nostri investitori in Italia e per la parte restante in Europa. Siamo molto focalizzati sul nostro Paese ma abbiamo anche iniziato una importante campagna di fund raising fuori dall’Italia con l’obiettivo di bilanciare la provenienza geografica dei nostri investitori e avere una visibilità più alta così da generare maggiore interesse in termini di raccolta futura.

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