AcomeA, un prodotto a misura di private

Da sempre l’investitore italiano va alla ricerca di un flusso cedolare regolare e stabile. Titoli di stato e immobili, più conti deposito e simili, hanno avuto sempre largo spazio nei portafogli nostri connazionali. Tuttavia, negli ultimi anni, complice una combinazione di fattori macroeconomici tra cui la politica ultra accomodante delle tre principali banche centrali mondiali, ottenere un flusso di reddito costante da un investimento è sempre più difficile. Anche il fisco ha fatto la sua parte: la pressione fiscale sugli immobili e sugli affitti ne ha eroso il rendimento mentre aleggia lo spettro di una patrimoniale. Il risultato di questo mix di fattori è la presenza di oltre 1.400 miliardi di euro di liquidità parcheggiata inerme sui conti correnti, di cui, secondo una recente ricerca Aipb, almeno 300 miliardi sono riconducibili ai clienti private. Sul mercato si è affacciata una nuova classe di attività illiquide come il private debt e il private equity. Sono strumenti utili ma che difficilmente potranno entrare nella parte core del portafoglio di una famiglia. Inoltre, nascoste dalla bassa volatilità, le classi di attività illiquide possono celare altri rischi, in primis la difficoltà di riavere indietro i propri denari in qualsiasi momento.

Si tratta di aspetti non trascurabili, ancora difficili da accettare sia per i consulenti private che per i loro clienti. E si tratta pure di fattori che possono rappresentare significativi ostacoli alla relazione tra un advisor e il suo cliente. In questo contesto, AcomeA ha lanciato un nuovo comparto dedicato alla clientela private alla ricerca di una rendita. I vantaggi che la sgr milanese di Alberto Foà e soci intende offrire ai private banker e ai loro clienti sono principalmente un elevato flusso cedolare e una fiscalità differita sulla cedola, oltre al caratteristico stile di gestione contrarian che consente di ottenere risultati ben differenti dai benchmark. BLUERATING ha intervistato Foà che di AcomeA è fondatore e presidente, il quale tiene a sottolineare: “Prima di essere imprenditore assieme ai miei soci, sono gestore a tempo pieno”, dice, “mi occupo di mercati finanziari e di gestione di fondi da oltre 30 anni”.

In un mercato dominato dagli Etf, perché scegliere un fondo obbligazionario, attivo e con lo stacco cedola? Non è meglio un fondo passivo?
Se fossi convinto di una superiorità della gestione passiva, sia con Anima prima, sia con AcomeA poi avrei scelto di proporre fondi passivi. Le mie società avrebbero fatto molti più utili perché avrei potuto non assumere nessun gestore, delegando tutto a un computer. Invece le capacità dell’asset manager sono fondamentali e un gestore di alta qualità per una sgr è costo notevole. Chi conosce i mercati finanziari sa benissimo che ciclicamente il prezzo di un titolo e il suo valore spesso divergono per poi ricongiungersi. La gestione attiva, e quella value in particolare, consentono di trarre vantaggio da questo effetto. Leggo sul report semestrale di Morningstar che nel lungo periodo, nell’arco di almeno 10 anni, più del 60% dei gestori obbligazionari batte il mercato. Se mai c’era da convincersi della bontà della gestione attiva, questi numeri non lasciano spazio a dubbi. Certo, è pur vero che ci sono gestori più bravi e meno bravi.

Può descrivere le caratteristiche del fondo che offrite alla clientela private?
È semplicemente un nuovo comparto a distribuzione di uno dei nostri fondi flagship, l’AcomeA Performance, direttamente gestito da me e dal mio team con oltre 200 milioni di masse in gestione e vincitore proprio quest’anno del Premio Alto Rendimento. L’idea della cedola è molto semplice: vogliamo mettere l’investitore nelle migliori condizioni di trarre vantaggio dagli attuali scenari del mercato obbligazionario globale, ancora molto attraenti sia in termini di rendimento generale, sia sotto il profilo dei flussi cedolari.

Lei parla di condizioni attraenti ma non si può ignorare che ci sono oggi in circolazione oltre 13mila miliardi di dollari di bond con rendimenti negativi…
Sì, è vero. La parte preponderante di questi 13 trilioni è in Europa, esclusa l’Italia, e in Giappone. A luglio 2019, escludendo Portogallo, Italia, Grecia e Spagna, non si trovavano rendimenti positivi nei bond sovrani europei con scadenze inferiori agli 11 anni. Tuttavia, ampliando l’ottica di osservazione alle emissioni governative di alcuni paesi emergenti, ci sono oggi opportunità molto interessanti.

Può fare qualche esempio?
Turchia, e Indonesia offrono tassi reali di oltre il 3,5%, Messico, Sud Africa e Brasile superiori al 3%, tutti al netto dell’inflazione locale. A questo va aggiunta l’opportunità di investire nelle divise di quei paesi, profondamente svalutate negli ultimi tre anni e capaci di offrire un paracadute grazie al carry, che in taluni casi oltrepassa il 20%. È chiaro che non ci sono pasti gratis; tuttavia un portafoglio ben diversificato in obbligazioni governative o sovranazionali presenta più diversificazione, è più liquido e oggi ha un flusso cedolare maggiore rispetto ad altre forme d’investimento come l’immobiliare in aree classificate come prime o altri asset illiquidi. A mio avviso, siamo di fronte a un cambiamento epocale nelle politiche economiche dei governi che rende molto attrattivo tutto ciò che è a spread e presenta fondamentali accettabili o comunque mal percepiti dal mercato.

Quale contesto macro stiamo vivendo?
Faccio alcune premesse importanti: in 30 anni mi sono sforzato di non gestire mai in base alle previsioni e mai lo farò; inoltre, non va trascurato il fatto che oggi è in atto un profondo cambiamento tra i policy maker a cui sono affidate le politiche economiche dei governi. Ora, la ricetta del rigore dei conti dei governi, il cosiddetto Washington Consensus, non è più attuale: la crisi del 2008, i processi di globalizzazione che hanno impoverito il ceto medio nei paesi occidentali con la conseguente egemonia di movimenti populisti, la disruption tecnologica e la polarizzazione in vari settori economici hanno aperto profondi squilibri sociali nei paesi occidentali. Da qui la necessità di ovviare, da parte dei governi, alle dinamiche in atto, allo scopo di ottenere consenso politico dalla maggioranza degli elettori. Abbiamo assistito a un atteggiamento di politica monetaria sempre più espansivo. Questo ha annientato i rendimenti di quelle obbligazioni che erano considerate un porto sicuro. E, come dicevo, tale scenario ha aperto grandi opportunità su tutto ciò che ha spread.

Come funziona la cedola del vostro Performance?
Il fondo stacca la cedola due volte all’anno e l’ammontare è deciso dal nostro cda in base alle cedole incassate dal fondo nel semestre e alle eventuali plusvalenze realizzate. Tuttavia, a differenza di un normale fondo a proventi, la fiscalità delle cedole staccate dal fondo e incassate dal sottoscrittore è differita nel tempo sino al momento dell’eventuale disinvestimento dal fondo stesso. L’investitore quindi incassa la cedola per intero senza ritenuta. Si tratta di un bel vantaggio rispetto ad altri tipi di rendita come i canoni di affitto o le cedole sui titoli detenuti in regime amministrato che sono tassati nell’immediato.

Quanto è stato il tasso cedolare incassato dal fondo negli ultimi semestri?
Il fondo a capitalizzazione ha incassato il 6,3% nel 2018 e poco più del 3% nei primi sei mesi del 2019, con un prezzo medio delle obbligazioni in portafoglio di circa 93. Il comparto a distribuzione non farà altro che prendere l’ammontare delle cedole e pagarlo al sottoscrittore. Ricordo che il flusso cedolare fa parte del rendimento totale di un’obbligazione ed è la componente, a parità di altre condizioni, più stabile nel tempo.

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