La partita americana

 

L’estata ci consegna al rush finale delle elezioni presidenziali americane, offuscate nelle cronache dalla crisi del Covid-19. L’esito appare quanto mai incerto, dopo che proprio la pandemia si è occupato di polverizzare il vantaggio che i sondaggi attribuivano appena qualche mese fa a Donald Trump.

 

Bilancio di fine mandato

Come sempre, l’esito delle elezioni Usa sarà deciso dagli aspetti economici: il resto, nella dinamica elettorale americana, ha sempre contato poco (incluso il movimento Black Lives Matter). Sotto il profilo economico, quello che resterà della presidenza Trump sarà da un lato l’apice e poi la fine della più lunga fase espansiva della storia americana; una parziale riduzione delle tasse federali (promessa parzialmente mantenuta) e, soprattutto, l’effetto sul commercio mondiale di “America First”. La lunga stagione di guerre commerciali inaugurata dai contrasti con la Cina e la cui onda lunga si è abbattuta – prima del Covid – sull’export europeo, come quello italiano.

I mercati sono per definizione filogovernativi, ma questa volta l’approccio potrebbe (dovrebbe) essere diverso.  Per l’Europa, e in primis per l’Italia, che trae dall’export una bella e grassa parte del Pil, l’esito dell’elezione Usa è tutt’altro che indifferente.

 

Conseguenze sul commercio

Alcuni dati: nel 2019 l’avanzo commerciale della Ue a 27 è stato pari a 197 miliardi; la quota dell’Italia vale quasi 52 miliardi. E gli Stati Uniti sono il mercato di sbocco più importante per le merci esportate dall’Ue-27 (18,0%). Segue il Regno Unito  (14,9%), poi la Cina (9,3%).

A seguito dei contrasti, nel 2019 il commercio mondiale era cresciuto solo del 1,2%. Poi ci ha pensato il Covid a congelare gli scambi. Se si dovesse sommare un’ulteriore contrazione degli scambi internazionali, come conseguenza delle guerre commerciali, sarebbe un vero disastro e neanche le politiche monetarie ultra espansive della Fed e della Bce potrebbero fare molto per evitare una lunga depressione.

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