Sul petrolio si sta combattendo una guerra anche di nervi

UNA GUERRA ANCHE DI NERVI – Quella che si sta combattendo sul petrolio sembra essere anche una guerra di nervi. Sinora si sapeva che a perdere maggiormente con quotazioni in calo sotto i 100 dollari al barile erano paesi come il Venezuela (per il quale gli esperti stimano un punto di pareggio sui 117 dollari al barile), la Nigeria (pareggio a 123 dollari al barile), l’Algeria e l’Iran (entrambi con un punto di pareggio poco sopra i 130 dollari al barile).

SHALE OIL, PAREGGIO A 42 DOLLARI – L’Arabia Saudita e la Russia dovrebbero invece iniziare a guadagnare rispettivamente con prezzi a partire da 106 e da 102 dollari al barile, mentre i giacimenti “storici” americani in Texas Oklahoma, Louisiana, Kansas e Arkansas hanno un punto di pareggio attorno ai 75 dollari. Chi ha tutto da guadagnare e poco da perdere da questa situazione sono i produttori di “shale oil”, per i quali sinora si parlava di un punto di pareggio tra i 53 e i 78 dollari al barile a seconda del giacimento. Ora però l’Agenzia Internazionale per l’Energia segnala che la maggior parte dei nuovi giacimenti può essere profittevole per poco più di 42 dollari al barile.

PETROLIO A 65 DOLLARI, MA PUO’ CADERE ANCORA – Un dettaglio che se confermato potrebbe fare la differenza, visto che alcuni analisti non escludono un crollo sino ai 30-35 dollari al barile prima di un rimbalzo attorno ai 70-75 dollari. Oggi intanto il petrolio Wti oscilla poco sopra i 65 dollari al barile, mentre il Brent è poco sotto i 70 dollari. Livelli che già paiono in grado di mettere ulteriormente sotto pressione tanto la Russia quanto l’Opec, tanto più sapendo che gli Stati Uniti potrebbero continuare a incrementare la propria produzione di shale oil senza risentire ancora di alcuna crisi.

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