Nonostante un contesto ancora caratterizzato da incertezza e volatilità, le valutazioni dei principali mercati azionari sono tornate ad essere interessanti. La ripartenza registrata nel mese di ottobre fa da sostegno ad un recupero di forza atteso per la fine del 2022.
“A livello di allocazione dunque si punta a sfruttare la prosecuzione del recupero sugli azionari mentre sui mercati obbligazionari e valutari rimane un atteggiamento più cauto“. Ad affermarlo è Alessandro Allegri, ad di Ambrosetti AM Sim, che di seguito spiega nel dettaglio l’asset allocation.
Il contesto continua ad essere caratterizzato da incertezza e volatilità sia a livello di dati macroeconomici che di dinamiche di mercato puro ma, nelle passate settimane, sono riaffiorati elementi di inversione e di stabilizzazione che migliorano il quadro in termini di attese per i mesi a venire. Ottobre, riconosciuto erroneamente come il mese tipico dei grandi crash finanziari, se da un lato ha confermato le abitudini di ampi spazi di oscillazione, dall’altro ha riportato con forza la positività sulle tematiche azionarie.
Dopo le iniziali incertezze sono infatti emersi i riposizionamenti in particolare su Stati Uniti (+8%) ed in generale sull’area Euro (+9.4% Dax, +9.0% Eurostoxx50) mentre Giappone e Svizzera, insieme soprattutto all’Inghilterra hanno registrato progressi decisamente inferiori. Nettamente divisi invece i risultati sui mercati emergenti con le borse cinesi e quelle strettamente legate ad essa in vera crisi (Taiwan -3.5%, Shanghai -7.8%, HongKong -14.7%). Luci ed ombre emerse dopo il congresso del partito comunista non hanno infatti dissolto i dubbi circa la debolezza in atto a livello di contrazione della domanda interna, crisi del settore immobiliare, e problematiche relative alla politica zero-covid, confermando un contesto fragile anche in relazione al netto rallentamento atteso della crescita globale.
Sul fronte obbligazionario le tensioni sono rimaste elevate così come la volatilità generale ormai stabilizzata attorno a picchi inconsueti da gestire per le abitudini operative degli investitori. I tassi chiudono il mese in leggero calo ma dopo aver segnato nuovi livelli massimi dell’anno e mantengono dunque un saldo di risultati estremamente negativi per tutti gli investitori da inizio anno. L’elemento novità sul mercato è arrivato dalla Bank of England che ha invertito bruscamente la rotta passando da vendita di asset ad acquisti netti di titoli di stato con l’obiettivo di arginare il calo dei gilt e proteggere il sistema dei fondi pensione da perdite potenzialmente bloccanti. L
‘intervento del Regno Unito inserisce una nuova variabile da considerare, legata al fatto che le banche centrali, nel loro indirizzo di stabilità finanziaria, possano anche rapidamente arrivare a contrastare i movimenti dei prezzi giudicati eccessivi o dannosi, limitando le oscillazioni del mercato obbligazionario e migliorando di fatto lo scenario di breve. Un elemento dunque potenzialmente favorevole in prospettiva, sebbene non facile da cogliere in anticipo, che conferma come il tema bond resti oggi inequivocabilmente fortemente interconnesso alla volontà delle banche centrali e sicuramente meno guidato dalle attese economiche reali. Il timore di una recessione inizia a pesare anche sulle attese delle materie prime, in particolare quelle più cicliche. Dopo un inizio di anno da vere protagoniste, con quotazioni a livelli stellari, soprattutto per i temi legati all’energia, sono rientrati i flussi in acquisto con prezzi più contenuti e sensibilmente più correlati alle attese di sviluppo economico. In particolare il petrolio, seppur in risalita ad ottobre (+8.2%) continua a viaggiare ampiamente sotto i 100 dollari, ben lontano dai massimi di inizio anno.
L’oro resta stabile senza offrire particolari vantaggi agli investitori (-10.7% da inizio anno) mentre si registra un assestamento sul prezzo del Gas. Di pari passo con la risalita sull’azionario si sono registrati recuperi anche sulle valute più indebolite con il Dollaro in calo ed un Euro in generale progresso (+3.5% vs Yen, +2.3% vs Franco Svizzero). La storia recente rimane quindi ancorata a rapporti di forza ben definiti laddove l’apprezzamento del dollaro coincide con la debolezza dei mercati azionari globali e viceversa, candidando la decorrelata valuta statunitense a fare da cuscinetto potenziale al rischio.
Sul fronte dei dati macroeconomici è forte la cesura tra i numeri che sintetizzano la situazione attuale, ancora rosea, e quelle che sono le stime più attendibili per l’immediato futuro. La rendicontazione sugli utili ne è l’esempio più puntuale. Le recenti pubblicazioni infatti hanno evidenziato dei risultati migliori di quanto temuto, ma le attese per i prossimi trimestri sono indirizzate in territorio decisamente più negativo, con pochi motivi per aspettarsi una smentita. Tutto ciò è certamente sintomatico di un generale sentiment di valutazione depresso ma è indubbia la svolta netta dell’economia verso un contesto di significativo rallentamento, in cui gli stessi due elementi, domanda ed inflazione, che hanno spinto fortemente al rialzo i risultati come impulso a ricavi e utili, peseranno sfavorevolmente in futuro in termini di contrazione.
Inoltre le principali banche centrali confermano senza ombra di dubbio un atteggiamento più restrittivo di quanto non si aspettassero i mercati che di fatto sancisce il mantenimento di tassi alti per tutto il tempo necessario a contrarre l’economia con il fine superiore di riportare l’inflazione vicino al target. Le prospettive dunque rimangono più incerte gravate anche da un clima geopolitico che rimane decisamente offuscato. Il perno resta la guerra russo-ucraina ma più in generale preoccupano, soprattutto sotto il punto di vista della crescita globale, le gravi battute d’arresto nelle relazioni tra Stati Uniti e Cina con quest’ultima impegnata nel lancio di politiche di sostegno che si stanno rivelando un elemento insufficiente per risolvere i problemi dell’economia interna e fungere da spinta sul fronte della crescita globale. Ad oggi solo un allentamento delle tensioni geopolitiche, assai improbabile nell’immediato, ed una normalizzazione delle pressioni inflazionistiche, potrebbe migliorare l’andamento atteso del ciclo economico, ma in tale logica prevale l’ipotesi di un processo di rientro più graduale vista la diffusione estesa della forza dei rincari dal comparto energia ad un insieme decisamente più ampio di prodotti e servizi.
Il mercato deve ancora scontare il peso delle difficoltà economiche emergenti e con l’economia statunitense in contrazione per il secondo trimestre consecutivo, nonostante il mercato del lavoro abbia retto bene, sono tante e lecite le preoccupazioni a livello di scenario. Tuttavia le valutazioni dei principali mercati azionari sono tornate ad essere interessanti dopo le decise flessioni degli scorsi mesi e la ripartenza di ottobre fa da sostegno ad un recupero di forza atteso per la fine di questo anno. Nonostante l’atteso taglio degli utili futuri per il deterioramento delle prospettive, l’economia americana si sta mostrando più resistente di quanto i più si aspettassero.
I consumi reggono e l’occupazione si mantiene elevata, così come prosegue a buon ritmo la produzione industriale; inoltre in uno schema in cui l’attività globale va verso il rallentamento, la crescita delle società statunitensi risulta meno ciclica rispetto ad altre regioni e quindi più solida e difendibile. In Europa invece la guerra e la crisi energetica pesano maggiormente e rendono potenzialmente più vulnerabili i mercati. Le azioni del vecchio continente stanno mostrando in ogni caso una buona resilienza, e dopo diversi anni di sottovalutazione, incontrano oggi quotazioni a sconto con alcune aziende e settori avvantaggiate in prospettiva dal deprezzamento dell’euro. A livello di allocazione dunque si punta a sfruttare la prosecuzione del recupero sugli azionari mentre sui mercati obbligazionari e valutari, sebbene si siano osservati alcuni riposizionamenti significativi e repentini, rimane un atteggiamento maggiormente prudenziale.